VASTE, INUDIBILI PAROLE.
SOLITARIE AMPIEZZE DEI VOLI.
lUCI RACCOLTE NEI CIELI.
GESTI SOVRAPPOSTI ALLA VITA.
NESSUN VOLERE.
NIENTE DA TRATTENERE.
IL RUMORE DEL VOLERE ASSORDA LA MATTINA.
Il vento inodore cancella le vie affollate.
Quando rallento il flusso di impulsi-percezioni
verso il cervello il corpo si attiva,
un corpo non più cerebrale,
in questa e per questa sua diminuzione di cerebralità,
il corpo, rallenta le funzioni fisiologiche,
il rallentamento è uno dei segnali iniziali della
decerebralizzazione del corpo, è uno degli
ultimi segnali ancora comprensibili dal cervello.
Per il mio cervello << comprendere >> significa
generare altri umpulsi da alcuni impulsi dati.
In assenza di << impulsi dati >> il mio
cervello non genera impulsi.
Il corpo non cerebrale che io conosco
è più prossimo all'unione tra intensità ed impulso
di quanto sia il cervello nella sua attività
ordinaria. Parte della natura del mio cervello
prevede anche l'esistenza di un cervello
che non tiene per sè gli impulsi convogliati
verso se stesso ma che li lascia scorrere
senza utilizzarli per generare altri impulsi.
Io posso utilizzare il cervello in un modo o in un altro
ma non è il mio Io nè la mia volontà a dare il senso del mio
agire. Il mio utilizzo del cervello non è orientato
alla sostituzione di una Natura con un'altra natura
migliore della precedente.
È l'intero- se mai esista un intero - agire della Natura
che determina l'attribuzione del senso e in particolare
dell'intensità alla mia figura.
Fin quando quell'intero agire non mi convoglia
verso l'intensità io apprendo delle capacità e delle
possibilità ma non le devo controllare nè devo credere
che la loro esistenza in me e per me dipenda
dalla mia volontà.
In altre parole l'immersione nell'intensità
non riguarda niente che sia fisicamente e cerebralmente
riconoscibile come mio.
A questo punto il termine << riconoscibile >>
tace momentaneamente privo di senso.
Oggi so, a differenza di ieri, che non è il mio cervello
a convogliare gli impulsi del corpo verso se stesso.
Quindi non ho bisogno di temerlo o ridurlo
o tenerlo a distanza.
E so anche che non ho un corpo BUONO da contrapporre
a un cervello CATTIVO.
Nell'agire, ciascun impulso fa la sua parte.
Così quando si alza il vento mi lascio cancellare volentieri.
Nel frattempo osservo l'intensità che scaturisce
dai miei tentativo di un ascolto profondo.
Una intensa reattività conduce all'impulso-oggetto, una bassa o inesistente reattività
conduce all'intensità.
L'intensa reattività costituisce il mio strato fisiologico
propriamente umano.
L'intensa reattività costituisce un irriducibile senso di realtà
oggettiva che in apparenza sembra negare la possibile coesistenza
di altri possibili esistenze e realtà.
Le diverse qualità degli impulsi sono all'origine di altrettanto diverse
percezioni della realtà.
la differenza tra impulso, realtà e percezione è spesso inconsistente
in questi contesti.
Io percepisco e produco solo oggetti perchè io stesso sono un oggetto,
più qualifico la mia oggettività più la mia oggettività e fisicità-
di-oggetto si espandono. Quelli che mi sembrano essere gli animali attorno
a me sono esseri che non si percepiscono come oggetti se non
in minima parte. Io e loro non condividiamo la stessa
fisiologia-percezione.
La mia percezione-fisiologia di oggetto produce una mia
stupidità-dolore impressionante.
Non voglio mutare il mio essere-oggetto con altro,
il desiderio -mio- di mutazione sembra troppo un trucco
da oggetto asfissiato e in fuga.
Percepisco la mia fisicità perdere realtà, disperdere i
propri costituenti-oggetti - che sono numerosissimi.
Perchè comunicare queste parole? meglio di no.
Il silenzio prende la sua parte, anche come mancanza.
Voglio io? So dove avviene la fioritura, è
dappertutto . Oltre il sapere del mio io,
le circostanze ancora non sembrano favorevoli.
L'immagine è già presente.
Il movimento con le circostanze, assieme le circostanze,
allora non esiste un mio errore-
attenzione a non credere nel nihilismo.
Facile ammettere che non esista un mio svantaggio,
il cuore pena a decidere di accettare che: I VANTAGGI PER ME STESSO
SONO PRIVI D'IMPORTANZA,VA BE NE CHE NON CI SIANO.
oVVERO SE ACCETTO LE CIRCOSTANZE, E ALLA FINE LE ACCETTO COMUNQUE,
IL VANTAGGIO E LO SVANTAGGIO VENGONO NEUTRALIZZATI.
iL CUORE, IN UN PRIMO TEMPO, PROTESTA PERCHÈ VUOLE SEMPRE
QUALCOSA PER SÈ.
I DESIDERI SONO IL SEGNALE DELLA PRESENZA DEL NON EQUILIBRIO.
L'EQUILIBRIO NON È UMANO.
Il sogno non finisce,
matura cancellando ogni mia speranza.
Mi libera, non mi accompagna.
Il mutamento riguarda l'oggetto, la percezione ad oggetti.
Oltre il mutamento è la continuità.
Il mistero della continuità è che sprigiona intensità nel suo passaggio,
non scorre tra differenze.....ma tutto questo scorrere
da-a
senza produrre nè incontrare differenze è impossibile da dire
con le parole -oggetto a disposizione.
La continuità avviene in una diversa fisiologia.....se si può dir così.
La continuità non scoglie gli oggetti, non crea un
universo. ciò che gli resiste acquista evidenza, mantiene
la propria esistenza.
Ora ho capito, non ci sono soluzioni, o l'intensità in qualche modo è
presente o non lo è.
Navigo nel mondo delle soluzioni quando l'intensità non è presente.
Altrimenti è l'intensità.
La debolezza, meglio semplicemente la compresenza degli impulsi arriva a formare giudizi,
spesso chiuse e contratte, senza connessione alla continuità della intensità.
Uno stato fisiologico esiste sempre.
Difficile da spiegare, ma è proprio così.
Per me è ironico considerare che tutte le parole che seguono
sono espressione di in un preciso mio sentire fisico,
indicano una precisa fisiologia unificante, una fisiologia unificante
per l'ego e ciò che ego non è.
Tuttavia queste mie parole mantengono una espressività eccessivamente
differenziante poichè sono parole utilizzate tramite l'intelletto.
La fisiologia unificante per me deve trovare espressione anche nell'intelletto
anche se l' agire dell'intelletto è esclusivamente differenziante.
L'intelletto interpreta e oggettifica la percezione.
Per l'intelletto l'unificazione è un oggetto da mettere
il più vicino possibile a un soggetto.
L'unificazione operata dall'intelletto comunque prima o poi cede il posto alla fisiologia
non condizionata dall'agire dell'intelletto stesso.
Durante il cedimento dell'intelletto la fisicità della nuova fisiologia appare.
Le parole possono rimanere presenti ma non sono necessarie.
La compresenza delle manifestazioni è la via segreta. per così dire,
della continuità- la continuità è il superamento del percepire-
solo-ciò-che-deriva-dall'ego.
Le manifestazioni stanno vicino le une alle altre,
non tutte sono percepite allo stesso modo,
ognuna vive nel suo stato.
La continuità della intensità è essa stessa una
manifestazione.
La compresenza delle manifestazioni non ha regole.
Le pressioni a volte hanno un corpo ma non sono interessate a mantenerlo.
Ciò che noto più frequentemente è che
le manifestazioni dell'ego sono le più appariscenti, spettacolari, reali.
La maggior parte delle altre stanno lì ben presenti,
ma silenziosissime anche se intense, molto intense.
La loro silenziosità le rende in qualche modo segrete.
Per percepirle,il silenzio, e o altro, mi si deve manifestare,
spesso il silenzio si manifesta senza essere lui stesso in presenza
del mio ego.
Il silenzio è un qualche stato di stabilità.
Il silenzio è una presenza che non ha a che fare col silenzio
del mio ego, della mia mente.
Il silenzio è silenzioso perchè in esso si sono già unificati gli
impulsi che mi suscitano come ego.
La loro unificazione agisce sul mio ego, ne riduce la rumorosità
e l'automatismo. Alla fine anche il mio ego accede alle manifestazioni
silenziose, ovvero sta con quelle.
Ma chi ha agito ?
Tutti hanno agito.
Quando parlo di compresenze, di manifestazioni che si autopresentano,
parlo di un ambiente fisiologico privo di divenire, un ambiente che ha una
stranissima fisiologia che rispetto a quella del mio ego
può tutto e l' incontrario di tutto senza apparentemente agire.
A questa fisiologia mi riferisco a volte col nome di Natura, cosmo, intensità.
Quella fisiologia non la conosco tramite l'ego che ne è comunque
una parte, piuttosto la vivo standomene semplicemente
là dove sono senza illudermi che quello stare, il luogo e le
condizioni in cui sto, siano mie, nè che i sensi e le sensazioni di cui abbondo
siano fatti specificatamente per generare me-ego-stesso.
In maniera lucida mi rendo privo di motivi di esistenza e cerco di capire e aderire
alle circostanze di tutta l'esistenza che percepisco.
Riconosco che a privarmi della credenza del possesso della mia esistenza
non è una intuizione nè una qualche forma di logos logico ma il manifestarsi
dell'intensità, della natura.
Non sono in presenza di una rivelazione, di un'estasi, di una energia,
comincio semplicemente a vivere tanto col mio ego che con altro che il mio ego.
La compresenza si intensifica in me proprio quando l'agire viene notevolmente assorbito
dalla presenza e quando l'ego e le presenze appaiono senza contrastarsi.
Quando il mio ego appare come una manifestazione tra le manifestazioni io
vivo quello che per me è un ritorno alla natura.
Mi accorgo che se avverto qualcosa in profondità è solo e sempre qualcosa di
fisiologico, è una fisiologia non condizionata dalla fisiologia prodotta dal mio ego.
Anzi di solito la fisiologia del mio profondo non è percepita direttamente dal mio ego
che eppure ne fa parte. La fisiologia del profondo si manifesta esclusivamente senza un soggetto
percipiente.
Il corpo mi permette difficilmente di uscire dalla mente, anche se la mente ora per fortuna
non è più quella prigione di un tempo. La mente è poco sensibile alla pressione fisica e con molta fatica
recepisce come pressione il contatto con la vista, l'udito e l'olfatto.
Del tatto ora non parlo poichè per me il tatto non appartiene alla percezione
mentale propriamente detta. Il cervello, come organo, fa fatica a percepire la pressione
che viene naturalmente esercitata attraverso la vista e l'udito.
La pressione di cui parlo è la pressione che al tempo stesso è anche contatto.
E niente succede senza contatto.
Diventare sensibili alla pressione significa accedere rapidamente al contatto.
il contatto, nella sua accezione più propria è-sono le manifestazioni.
Il mio lavoro principale è sensibilizzare tanto la mente che il corpo alla
pressione, alle numerosissime diverse modulazioni di pressionni che si manifestano.
In questo lavoro non applico una via mentale da preferire a una via fisica
o viceversa.
per essere preciso devo riconoscere che sono le numerossissime pressioni-
manifestazioni-circostanze a risvegliare la sensibilità e non io
a risvegliare quelle.
Il mio spazio al di fuori della mente e dei limiti della mente non esiste
perchè io cesso di esistere senza quei limiti.
Il fatto che realmente la mia mente possa trovarsi in un ambiente privo
delle limitazioni necessarie alla sua stessa esistenza indica la possibilità
ùdella compresenza di manifestazioni molto diverse fra loro dal punto di vista
limitato-mentale.
Le modulazioni di pressione non conoscono limiti.
Ed io ondeggio tra la percezione di non limite delle pressioni e la percezione dei
limiti percettivo-pressione della mente.
ma non sono presente nello stesso modo nella mente come nelle pressioni non mentali.
In queste ultime ci sono senza la mente, ovvero senza essere un soggetto
umano e posso percepire e vivere la continuità tra il non essere umano e
l'essere umano. Il punto di vista non umano è fatto di pressioni,
è fatto di presenza e di contatti, non è costituito da parole.
La pressione in se stessa non esiste. Come pressione ancora indico un percepire
della mente che non è piè mente, indico per rappresentare ed è il rappresentare stesso
che mi costituisce. Dire pressione è un mio modo per stabilire una continuità che abbia
senso per la vastità della mente. Ma non mi incontro con le pressioni,
non mi incontro con me stesso, avvengono dei passaggi fra manifestazioni non conservative.
Se una mia o altrui manifestazione resiste allora agisce qualcosa, quel che di solito
chiamo spirito- altra rappresentazione. Lo spirito è un complesso di pressioni-manifestazioni
che resiste al proprio assorbimento.
La pressione è una interpretazione, interpretazione è percezione, la percezione se non interpreta
cessa di esistere. Ma intanto la pressione è una interpretazione che, in quiete, attraversa
la vita e la morte poichè essa si riferisce a tutte le manifestazioni.
Imparando ad osservare e ad essere la pressione-la-pressione-stessa
capisco la morte, il non essere vivo come
ego.
Pressione e percezione svolgono la loro esistenza ben oltre la mia umana dimensione.
Guardare oltre la morte vuol dire, per me, guardare attraverso la mia vita, e
insisto sul mio, sull'<<io>> perchè è della mia vita che parlo ed è
quella che presento.
Fra l'interno e l'esterno non esiste una reale differenza anche se così appare.
La mente. se veramente concentrata, aderisce all'esistente, i suoi punti, i suoi luoghi,
coincidono con quelli del corpo, dei corpi delle manifestazioni.
Mi posso curare attraverso la mente come attraverso il corpo, attraverso altre manifestazioni-
ho in mente al momento alcuni stai patologici.
Ma la concentrazione mi viene dalla natura non come medicina e la cura
mi appare, se appare,in un procedere naturale.
Per me esiste sia la mente dominata dalla presenza dell'ego
che la mente intesa come una presenza corporea tra le altre presenze corporee.
La mente dominata dalla presenza dell'ego è che quella a cui mi riferisco con la
parola <<io>>. L'ego è un impulso di impulsi, lui stesso corpo ma, misteriosamente,
non in contatto con quello, col corpo non mentale-ego intendo.
Il mistero si scioglie quando per qualche motivo mi accorgo che l'ego (impulso di impulsi)
si manifesta istantaneamente quando la capacità di comunicazione-contatto di un impulso dimuisce.
Quella dinuzione di comunicazione fa scaturire aspetti fisiologici peculiari, gli aspetti propri
del mio ego.
L'esistenza si articola tra flussi fisiologici,voglio dire che il modificarsi della
percezione sempre conduce a una modificazione fisiologica. Le nuove fisiologie non escludono
le precedenti, non esiste un tale automatismo. Piuttosto una nuova fisiologia
è una nuova manifestazione - da queste parole escludo il senso temporale.
Il modo in cui un impulso è attivo, ma anche il modo in cui la stessa intensità e le
fisiologie e manifestazioni sono attive, hanno a che fare con il riassorbimento e la
continuità, ciò che a volte appare come una logica momentanea del manifestarsi
della realtà non è reale in senso assoluto
ma è la realtà solo se vissuta all'interno della fisiologia dell'ego.
Le fisiologie comunicano fra di loro solo in presenza di riassorbimento e continuità,
le-fisiologie-che-comunicano sono al tempo stesso riassorbimento e continuità, ma
anche questo loro essere non cancella l'esistenza di fisiologie che, come quella del mio ego,
non comunicano in modo particolarmente attivo.
Esiste un momento in cui la presenza del mio ego non cessa di escludere il manifestarsi delle altre
fisiologie.
NON esco dalla percezione ordinaria se non in modo continuativo, ovvero il mio corpo di
coscienza muta. Lo alleno , perchè il mutamento è quel che propone tanto la morte come
il respiro profondo, come il contatto intenso.
La continuità non è nel mutamento, il mutamento appare localizzato e spettacolare fin
quando il mio corpo-coscienza resta attivo. Niente mi fa credere che il mio corpo-coscienza
cessi di esistere, è l'interesse dello stesso mio corpo-coscienza a spostarsi altrove,
abbandona il suo centro e include il proprio percorso in quello della Natura.
Io abbandono il mio centro, lo lascio e non me ne curo più, non voglio più subire la mia
decisione di essere libero come se la decisione circa la mia libertà fosse una mia questione
personale. <<Il mio>> lo lascio. L' <<Io>> semplicemente non lo incoraggio e non lo torturo.
Ma è evidente che la mente e il corpo si estendono in tutto il resto che vive o giace
apparentemente inanimato. Ed è con loro che ora attendo di muovermi.
La consapevolezza interna alla consapevolezza stessa del mangiare, del volere cibo
e pure dell'essere io stesso cibo, ( la c-i-c del respiro, della vita-morte e molto altro)
non la trovo nella percezione ordinaria - anche lo stato di vita chiamato comunemente
<<morte>> fa parte della mia percezione ordinaria.
Incontro la consapevolezza interna alla consapevolezza quando il mio io non controlla alcun
movimento, lo stare insieme della natura e alla natura assume finalmente un ruolo
fisiologico in cui la fisiologia del mio ego trova il proprio riassorbimento
e accenno di presenza.
Può sembre troppo semplice addirittura a me stesso mentre scrivo, ma avviene proprio
così come me lo dico e racconto: le pressioni esercitate su di me volontariamente ed
involontariamente hanno una forte fisiologia, un intenso sentimento,
un intenso espandersi e unirsi ovunque attorno a me.
La mia volontà ora sfocia in un agire non mio che oso chiamare l'agire dell'esistente,
della Natura, un agire che ha determinato la mia stessa manifestazione.
Quando la mia volontà confluisce nell'agire globale io non sviluppo un volere
globale, piuttosto ogni mia pretesa cessa. Quel che deve avvenire avviene.
Un altra sensibilità si manifesta ed espande ovunque. Io non sono più, avviene
qualcosa di diverso dalla vita e dalla morte.
In pratica si allenta la necessità di modificare la pressione - asana, mente, ecc-
su me stesso, lascio che la pressione della vita ordinaria faccia il suo corso
ma non permetto che gli automatismi della normale pressione ordinaria cancellino
la percezione vivace scaturita dalla pratica e dall'esercizio della pressione
consapevolmente da me esercitata.
D'altra parte la mia stessa pratica di compressione fa parte del corso della
vita ordinaria, dopo una lunga pratica di questa pressione mi accorgo
che lei stessa proviene dalla natura ovunque presente e non devo più aver paura
che scompaia.
Gli automatismi prima o poi cessano in me, così anche la necessità della
pressione cessa, avverto in entrambi i casi qualcosa di molto particolare:
qualcosa in me e attorno in me che non posso che evocare col termine natura
si trasforma, aumenta la propria consapevolezza-e -modifica la propria
fisiologia. Io non sono che uno dei fatti che avviene, una fra le molte
manifestazioni.
Spesso avverto i fatti della vita quotidiana originarsi da interferenze e i fatti
stessi della vita quotidiana diventano nuovi esseri che interferiscono con
l'esistente in modo attivo.
Eppure esistono molte manifestazioni che non interferiscono, non generano
nuovi esseri. I due processi - interferenze e manifestazioni prive di
interferenze, si intrecciano nella esistenza e costituiscono la mia esistenza.
Noo li guido io, loro sono più di quanto il mio io sia e loro circolano in me
e fuori di me in modo nettamente percepito e fisiologicamente palpabile.
L'io che sono avverte questa ampia circolazione come un qualche tipo di
profondo contatto, un contatto che trasforma la fisiologia dell'io in
una fisiologia molto più complessa di quella ordinaria-io ma decisamente
meno soggetta alle interferezecui sono io inevitabilmente soggetto.
In termini di tecnica della percezione posso dire che quando gli impulsi non
generano interferenze la vita ordinaria non si manifesta, altre manifestazioni
hanno luogo, gli impulsi restano presenti e loro stessi vivono in un
profondo strato di contatto fisiologico.
Io non posso controllare e decidere il come e il quando gli impulsi
siano una forma di interferenza generativa o una forma di profondo contatto che
scaturisce in una fisiologia apparentemente nuova.
Sono le modificazioni, i movimenti di quel qualcosa di estremamente più
ampio di me che determinano le caratteristiche dalla mia esistenza che a loro
volta sono parte spesso,inconsapevole, di quel qualcosa di più ampio appena citato.
Quando gli impulsi generano interferenze io nasco e vivo la vita ordinaria
dominata da azioni generative quali sentimenti, decisioni, volontà.
Quando gli impulsi entrano nel contatto profondo appare una fisiologia in
cui sentimenti, decisioni, volontà non sono più presenti, eppure tutto
è molto più vivace e intenso.
Gli impulsi esistono allo stesso momento e nella condizione di profondo contatto
e nella condizione di estrema interferenza e così io con loro (io -che sono
loro -con loro).
Vivere come esserre generato da interferenze nel senso sopraddetto, mi obbliga a
vivere con ,coesistere con e essere io stesso composto da, una numerosa quantità di
agenti brutali e brutalizzanti all'interno e all'esterno di me.
(Cerco di allinearmi col pianeta nel suo complesso e molto oltre, evito di
rimanere esclusivamente concentrato sul mio essere umano-e quello degli altri.
Anche così ottengo molta libertà letteralmente non pensabile.
Facendo così il mio corpo mi sorprende sempre, si libera di me facilmente
senza cacciarmi via. E' una guida involontaria. Si trasforma in fretta
pur rimanendo anche estremamente umano.)
Ogni accenno di percezione è una limitazione della libertà, è l'inizio
di una fisiologia in cui cibarsi ed essere cibo sono fatti che avvengono nello stesso momento.
Maggiore è la strutturazione della percezione e più ineluttabile è
lo svolgersi degli auomatismi da cui è costituita la vita.
Dalla percezione sorge l'esperienza della vita, la percezione non è mai libera,
la percezione è un concentrato-concentrarsi di automatismi.
Non esiste il non percepire se non come gioco intellettuale.
Esiste una libertà che ancora è intessuta di fisiologia ma in cui non esiste alcun
punto di percezione..
Ciò avviene in modo controintuitivo e non intellettuale, almeno in me.
Lentamente, accanto un singolo punto percettivo, emergono allo stesso tempo nuove
fisiologie e punti percettivi per le quali e i quali, la presenza di un'altra fisiologia
e percezione è anche la propria.
Non c'è identità ma non si manifesta alcuna differenza.
Il senso di tutto ciò lo avverto grazie ad una incredibile crescente intensità fisicae percettiva.
Accanto a questa intensità scorre la mia vita di percezione strutturatissima ed estremamente
automatica. E' piuttpsto ridicolo che io pensi di possedere qualcosa quando io stesso
non sono che lo scorrere di processi automatici
L'automaismo si placa quando comincio ad osservarlo e ad accorgermi della sua presenza.
Ma ciò che non si placa dell'automatismo scorre da sè, il mio respiro, la mia fame, i miei desideri,
il mio percepire.
Ma anche il placarsi degli automatismi non si arresta ed è un automatismo lui stesso.
Un automatismo che mi dà l'ebbrezza e il coraggio della liberazione.
Quando mi distacco dagli automatismi mentre loro continuano a scorre l'intensità esplode.
ma quando non è presente alcun processo di rallentamento degli automatismi, io divento
un essere del tutto contenuto dal mio percepire automatico.
Tutto ciò si svolge nella intelligenza della natura, non certo in funzione di qualche automatismo
individuale mio o altrui.
Io ora solamente ho imparato che accettare di essere rinchiuso nel mio automatismo quando ciò
effettivamente avviene, vuol dire accettare lo svolgersi della natura. E la natura sono anch'io.
Quell'accettazione conduce prima o poi con maggior facilità all'intensità, alla natura,
a un più intimo sentimento dei mutamenti dell fisiologie che sono-siamo-sono.
Ogni percezione è e indica una limitazione, ogni vita è e indica una limitazione, ogni respiro, ogni corpo,
ogni desiderio, ogni pensiero, sono gli aspetti quotidiani della ordinaria limitazione in cui vivo.
Il corpo, il desiderio, il pensiero, il respiro, mi indicano dentro di me e fuori di me per
sottrarmi alla loro stessa limitazione.
Così poi succede che ho un corpo, un cuore, un respiro e dei pensieri senza averne alcuna percezione.
Ma nel presente sono limitato e se ho fortuna, sono orientato al di fuori dei miei limiti.
Ciò che è diverso dal presente ha il suo ruolo.
Il suo ruolo è il contatto.