Una volta arrivato il silenzio della mente, mi accorgo che le voci della mia mente arrivano dal corpo esterno in cui vivo, il cosmo. Il corpo che chiamo "mio" reagisce in modo automatico a quelle voci ma può accorgersi di quel reagire automatico. L'automatismo del mio corpo e quelle voci sono identiche, sono lo stesso fenomeno. Dato che posso cogliere l'auotomatismo e placare le voci interne ma non posso bloccare i processi cosmici,io continuo la mia automatica esistenza accorgendomi del mio auotmatismo. Accorgermi dell'automatismo fa parte dei processi cosmici, non sono certo un creatore. Accorgermi dell'automatismo è il processo cosmico che mi conduce alla pace profonda. Nella pace profonda io non esisto più, anche questo è un aspetto del cosmo. Nel cosmo tutto è automatismo senza essere un bel niente. Non gioco con le parole, è l'automatismo della pace profonda che cancella il senso di unicità della mia coscienza ordinaria. Una volta cancellato quel senso di unicità gli automatismi non sono più automatici e io non sono più umano nè altro. Se non identifico il cosmo con il suo agire automatico allora il cosmo diventa una evocazione non identificabile,estremamente intensa e viva. L'evocazione mi mette al riparo dall'accusa di abuso dell'utilizzo della forma del paradosso, dall'accusa di voler essere un qualche tipo di guru, dall'accusa di voler spacciare qualche forma di conoscenza esoterica e da quella di giocare al nihilista. La parola che io pratico è una parola che risuona e assorbe in sè e da sè emette molte parole allo stesso tempo. Ciò che per me è parola e linguaggio di parole è esclusivamente evocazione. Io avverto la rinascita e il fiorire della parola tramite la sensibilità evocativa che ancor prima d'essere una capacità del linguaggio, è una spinta del cosmo verso la propria disillusione. Una delle parole più importanti nella mia vita è la parola << corpo >>. Il nio corpo e qualsiasi altro corpo, è mente, anima, cosmo, vento, concentrazione, amore, perdita del senso della propria identità corporea, molti corpi emergenti uniti-disuniti-privi-di-individuazione. Con un corpo così non posso prevedere il procedere delle mie parole poichè il loro procedere è un movimento apparente non dipendente da alcuna volontà. Il senso emerge comunque dalla parola, non è un senso determinato da me, è un senso che liberamente emerge quando il mio corpo diventa intensamente attivo. Colui che è attivo quando il mio corpo è attivo sta lontano da me anche se la sua lontananza è il mio stesso corpo e pure comincia a stimolare molte altre entità prive di identità. La fisicità del mio corpo, quando il corpo decide di essere attivo, non ha chiari confini, sfugge dal proprio involucro abituale e se parla evoca, nel vento smarrisce con gioia la propria immagine, nell'amore tace per non essere d'intralcio. Tu sei me quando parlo di te e io sono te quando parli di me. Ti chiamo con amore ed affetto ma non chiamo che me, è quello che trovo, non scelgo. Mi rivolgo a te perchè io, te, i nostri corpi, siamo non solo strettamente connessi, ma siamo amore. Nell'amore non abbiamo alcuna identità ma non è l'amore che agisce. L'amore è ancora un rapporto tra me, te, il corpo. Qualcosa di più intenso si unisce al mio e al tuo amore, al tuo e al mio corpo. Sono ancora io, sei ancora tu. il mio nome è il tuo, il tuo nome è il mio. Entrambi, pur senza alcun accordo , siamo talmente concentrati da perdere il mio e il tuo confine, così intensi da non essere interessati dalle parole del mio e del tuo amore. Il corpo mi stringe e rilascia. Il vento è già lì che aspetta. Il suono della voce assorbe le mie parole. Il calore del tuo amore è la luce. La presssione della terra è il mio ed il tuo corpo. Le percezioni sono pressioni. Quando la mente diventa stabilmente capace di sentire le pressioni, lei stessa diventa pressione tra le pressioni, lei stessa è finalmente corpo,emozione, terra, cielo, riassorbimento, ecc. Negli Asana dello Hatha Yoga è espresso chiaramente il senso e l'utilità delle pressioni. Un vero yogi non ha mai meditato su alcun oggetto. Gli yogi, ma non solo loro, si concentrano -concentrarsi non è meditare- egualmente sul proprio corpo come su un oggetto mentale e da lì vedono liberarsi e librarsi mille esistenze di solito ritenute inesistenti. La concentrazione degli yogi è una concentrazione creativa ovvero che dischiude altro senso. La stessa concentrazione creativa è il senso nascosto e profondo del disegno, della pittura, della musica e della vita ordinaria. La concentrazione creativa è un processo naturale, cosmico, volontario e involontario. Spesso, ma non sempre, non è una regola, la concentrazione creativa conduce ad avvertire le percezioni come pressioni in cui il limite ordinario tra fisico, mentale, spirituale, non esiste più. Quando le pressioni non hano più uno strato fisico, mentale o spirituale su cui aapplicarsi, diventano libere, prive di individualità. Il freddo svuota l'aria. Il paesaggio, non più terrestre, non assorbe lo slancio. Entrambi scivoliamo fuori dalla luce. L'acqua condensa le nostre forme in una traccia di fiori, circolare, ruotante che si innalza fuori dallo spazio. Nella schiena l'aria è fresca, gli occhi non vedono gli alberi, fissano le nuvole, affondano nel fiume. Nella corteccia degli alberi le stelle incendiano il mio corpo. Raccolgo i frutti del gelo, urla volatili ottengono il mio volto. Il momento della fioritura cancella i tuoi racconti. Al posto della tua compagnia sopraggiunge il vento senza aria, una tempesta di battiti di pressioni ruota nel mio corpo, un fertile paesaggio. L'airone emerge dallo stagno, alto, in volo, emana morbida luce incolore, Perdo il mio passo nella sua scia, affondo ovunque,senza appoggio, lo sciabordio del vento tra le ali dell'airone, io perso nella vita. Il paesaggio mi viene incontro, riposo su un ramo, un giorno di vita. Prendo il sole dal tuo volto, gli zigomi lisci desiderosi di vento e freddo, La luna flette l'aria, siamo stretti e vicini, invisibili, un semplice sguardo tra l'erba invasa dalla luce radente. La stanchezza apre il varco del cuore, con le labbra afferro il ritorno, l'aria palpita svuotandomi. Siamo insieme. Il mio lavoro degli ultimi 32 anni ha l'obiettivo di elaborare un processo a me accessibile tramite il quale accedere agevolmente a forme di percezione più profonde di quella ordinaria e di rimanervi il più a lungo possibile. La mia percezione, se non avviene attraverso il corpo, è una percezione molto debole,insicura, addirittura quasi una semplice fantasia. La mente, se non si lascia assorbire dal mio corpo, è un agire impacciato, offuscato, doloroso. La mente non è necessariamente mia, il corpo non solo non è necessariamente mio, ma ben presto è molti corpi allo stesso tempo senza che quel <<molti>> sia davvero una molteplicità. Nella mia vita ordinaria la mia capacità percettiva è insopportabilmente debole, confusa, ridotta. La mia percezione è il risultato dell'agire della Natura, dell'agire cosmico. Io non entro e non esco da alcun livello o dimensione percettiva. Mi lascio concentrare, attivare ed emergere dalla Natura nella Natura, qualsiasi cosa ciò significhi. Non è importante che sia io, almeno su questo non ho dubbi. Anche nella percezione non ordinaria esiste una forma di cultura, solo che si tratta di una cultura che appare nel proprio corpo, non scritta, priva di suoni e di immagini. Allora il mio corpo non è più mio. La cultura della percezione ordinaria è debole ed estremamente imprecisa, ma spesso, non sempre, necessaria. E' grazie alle testimonianze che ho trovato nella cultura ordinaria che ho saputo dell'esistenza di altri ed altre come me. E' grazie alla Natura che percepisco la Natura e il Cosmo ovunque il Cosmo, nell'oscurità, nel vento, nelle piante. Anche se non è un cibo, io, come tutti gli umani, mi cibo fondamentalmente di aria. Per me cambiare ha voluto dire e tutt'ora vuole dire non porre alcun limite al cambiamento. << Cambiare>> ha voluto dire mutare la mia percezione e non considerare più la percezione come mia. Non ho mai programmato alcun cambiamento, ma ci sono stati alcuni momenti precisi in cui ho voluto cominciare a cambiare. Anche oggi ci sono alcuni momenti in cui voglio continuare a cambiare, ma ora mi capita di avvertire che quella volontà non è mia, non è un possesso. Non esistono stati di coscienza reali, non esiste una percezione più profonda o una meno profonda. Esiste la concentrazione che può essere più o meno intensa. Più la concentrazione si intensifica più la realtà appare intimamente connessa. L'aumento della concentrazione è anche costituito da emozioni fortissime in cui la mia ed altrui individualità non hanno significato. Una realtà che diventa via via più connessa comporta una Natura sempre meno descrivibile in termini di spazio, tempo, luoghi, alto-basso, prima-dopo. Più la concentrazione si indebolisce più la realtà appare composta da una quantità infinita di esseri diversi, non connessi tra loro, quasi inconoscibili e spesso reciprocamente ostili. Ed è allora che IO appaio. Io stesso mi avverto disgregato in un corpo, in una mente, in una quantità di organi sensoriali distribuiti qua e là. Gli altri mi appaiono distaccati completamente da me, chiusi all'interno di corpi, menti e cuori non miei, non connessi al mio, difficilmente raggiungibili. Appena la concentrazione si intensifica il mio corpo, la mente, i sensi, diventano estremamente vivi, avvertono sempre più intimamente gli altri esseri. L'intimità, quando è molto intensa, cancella l'individualità, tutto sembra emergere da tutto, un tutto incolore, inodore,estremamente denso e popolato. Non saprei dire chi sia la concentrazione. Certo, non sono io. La posso chiamare natura, cosmo, ma chiamarla non ha importanza. Se il suo vento mi avvolge mi immergo in esso. Si, è vero, l'intero processo scorre nel sangue, nel cielo, nel vento, è molti oceani, è molti amori, è il contatto che provo oltre l'emozione. Allora non trovo più alcun processo ed io stesso non sono che un dettaglio. Il sangue non è più lui, è emerso fra le stelle, con le stelle, nel contatto. Il contatto annulla ogni pretesa si identità e singolarità, il mio amore si sbriciola nelle arterie della Natura. Fiume , mari, vento, il tutto compresso nel mio petto per restituirmi in un luogo privo di complici, solo l'amore disposto a giudicare, quello destinato alla natura e dalla natura spinto nelle maree. Non mi freno nella vita. Lo sguardo, quasi inutilizzabile, piega oltre la luce, affonda, trova la spinta per palpitare, silenzioso, sciabordio del cuore. Domani la brezza di nuovo cancella, il vento nella sabbia , la mano nelle pieghe della vita. Un tempo da dedicare. Il sole nel corpo abita, una radice tra molte. Il sole osserva il suo sole emergere nel petto, sorpassare la vita. Infine resta un sole, il suo sangue è morbido, il mio abbraccio con l'aria interna. La ragnatela di luci si perde nella retina, mucose sfocate prendono la luce, la toccano. L'aria cambia, mi muta in ogni istante. Tra le piante del giardino sono accolto, sono un popolo di lucciole. Ancora la luce mi rinchiude in un grappolo di luci tattili. Quel che sono vale negli occhi di un sonnambulo. Ho cominciato a sentirmi vivo in un momento impreciso, in un luogo impreciso, in cui la mente il corpo, l'ego, le emozioni, lo spirito, la sessualità, i desideri, si sono fusi tra loro, diventando equivalenti, indistinti, non uniti ma semplicemente inesistenti come forme differenziate. Ho continuato a sentirmi vivo perchè le altre persone, il cielo, il vento, le piante, il mare, la polvere, mi hanno distribuito in una fisiologia estesa, senza centro, priva di differenze attive. Quella fisiologia estesa è molto sveglia, intensa, precisa. Anche se per comunicare con le mie parole, i miei video, i miei disegni, utilizzo l'agire delle differenze, non è delle differenze o dell' UNITA' che parlo. In profondità la mia percezione non crea e non distrugge, ne emerge solo qualche inutile evocazione, quella evocazione è la mia comunicazione. Ripeto spesso i termini <<mio, io>> per evitare di sembrare un <<guru>> che attribuisca alle proprie percezioni un valore universale e assoluto. Il mare spinge nella mente. Dondola il vento tra le costole, il gelo sorride nella baia. Ghiaccio sulle colline, alberi di marmo, mani di cristallo. La notte sale, persa nello scintillio delle lune, gli alberi affondano il petto, statue di fango crepitano nelle pozze congelate. Il sole tra le braccia, cuore e polmoni sventolano nell'alba schiumosa. Le ossa si tingono di vita e di morte, gemiti lagunari, salti, guizzi nell'ombra invernale. Nel vento la memoria disperde il mio colore. Le tracce custodite sono diventate introvabili. Di nuovo resto nudo, adagiato sul tappeto, felice di comprimermi nelle visioni della foresta. Nessun libro, nessuna immagine, nessuna musica, le braccia allacciano le gambe, massaggiano l'aria, mi stiro tra le pressioni in cui sono immerso, da cui sono composto. Vorrei un volto per placare le domande. L'intento mi precede, nient'altro che nudità e venti che comprimono, umidità che riscalda, rumori e immagini che svaniscono in una intensità senza nome. Quando mi concentro, cesso di essere presente. Ogni gesto non è più mio, muta e appare in molte presenze in un attimo che non rassomiglia al tempo. Quel che vedo mi vede, quel che mangio mi mangia, quel che amo mi ama, ma è diventato tutto troppo intenso perchè io abbia qualche interesse in me, nel tornare a me,nel rifluire in me. Da un'ora corro sotto la pioggia, fa freddo, due gradi sopra zero, il vento mi scuote. E' così che inizio. Non ho mai avuto fede. Non ce ne è mai stato bisogno. Sentivo troppo, vedevo troppo. Per molto tempo sentivo e vedevo in modo frammentato, poi qualcosa ha cominciato a legarsi reciprocamente e sono uscito, Quando di tanto in tanto ritorno non trovo me ad aspettarmi. Un sole nuovo brucia nella corteccia della pelle, lo fisso col cuore per trattenermi qua. Poi il vento mi ricaccia altrove, a volte in parte mi trattiene, concentrato e sospeso nella vita come nella morte. La natura amorfa della natura si diletta nel cancellare ogni traccia. L'entusiasmo, l'energia, lo slancio, accedono ad ogni cellula, ad ogni muscolo, mi stirano oltre lo spazio, una strana stanchezza cancella ogni memoria, rafforza l'intensità, mi impedisce di autoipnotizzarmi. Azioni non compiute da me mi mutano radicalmentne, oltre farmi apparire qui, davanti a questa tastiera. Finalmente nudo, non sono più un bipede. Sono sparpagliato qua e là, molto più simile ad un quadrupede. La testa non comanda e non coordina, l'unico orientamento sta nel ruotare. Quel che c'era prima e quel che c'era dopo era un abbraccio fortissimo, con le costole spalancate dal calore, il cuore quasi immobile. Gli alberi fioriscono nella brezza della laguna. Poi un giorno mi sono accorto che il modo in cui gli esseri umani trattano il pianeta e se stessi, sottoforma di società, coincide con il modo in cui la mia percezione ordinaria e la mia fisiologia ordinaria operano. I termini fisiologia e percezione per me sono sinonimi, entrambi indicano qualcosa che mi costituisce senza il mio intervento e che io invece scambio come mia identità, mia volontà, mia esistenza. La fisiologia e la percezione sono nomi che appartengono al cosmo, io ne sono una delle manifestazioni. Ho praticamente bisogno di almeno due ore di yoga e circa 15 km di corsa al giorno per mantenere la fisiologia e la percezione che normalmente scambio come mie, attive, vive, non legate alla mia identità, non soffocanti verso il mio corpo, le emozioni, la mente, non così potenti da farmi avvertire d'essere una inevitabile quantità di automatismi. Non oso muovermi contro il cosmo, attingo anche e soprattutto ad altre fonti di vita cosmica che quelle costituenti la mia vita ordinaria. Nessuno mi obbliga a esistere e soffrire al di dentro di un continuo stato di limitazione fisico,mentale,emotivo. L'accesso ad altre presenze naturali-cosmiche muta il funzionamento della stessa percezione e fisiologia ordinaria. Attenzione, nel cosmo nessuno ha fretta. Il cuore ripete il suo canto, conta sulla natura per non sbagliare, il vento era neve, gelo e felicità. Il cuore assume la sua forza, scorre nel fiume, accoglie il livore del cielo, le montagne prive di pensieri cantano e sommergono. Ho vissuto nel pomeriggio. Incolore, presente. Nel sudore della corsa ho perso la mia umanità. Il canto sopporta la mia presenza. Un gioco errante, le labbra piene di sabbia, lo sguardo inferocito, lo sguardo abbraccia nello slancio, si allaccia alle mangrovie, trova l'approdo senza ombra. nessuna esitazione. Quasi una preghiera. Le esitazioni del mio volto vibrano nei riflessi del fiume, un salto, una grande forza senza ali, un offerta alla natura, non siamo tutti uguali. Non scordo niente, per questo corro molto. E affondo oltre la risacca dell'amore, non amo amare, guardo la luce spegnersi nei miei occhi, la pressione del cielo accendere il canto nel mio ventre, il cuore silenzioso, l'eco della vita è l'oceano, la speranza che mi unisce. La pressione del vento muta i miei organi, attiva la pelle, prende lo spazio della mente, del cuore, degli occhi. Gli uccelli, lungo la laguna, diventano il mio sentimento, la corteccia degli alberi mi tesse con la sua resina, con il suo amore stellare. Il mio movimento lo hanno deciso le erbe che calpesto le brezze del tramonto, le mie posizioni sono il canto della natura, il mio spazio non è qui, non è. Tutte le mie parole sono per abbracciare la mia vita quotidiana e scioglierla nelle correnti da cui sono composto, per le quali sono una danza involontaria. La natura a volte è il loro volto, altre volte le correnti non hanno volto. Concentra tra le costole, all'altezza del petto, oscilla tra i due cuori, incontra una fioritura, gli alberi sollevano la luce, disegnano vite. La percezione ordinaria resiste, sembra rigenerarsi incessantemente. L'assorbimento non è resistenza. Questo poi è il nocciolo dello Samkya: l'irriducibilità di Prakrti. ma si sa, l'irriducibilità è un nodo che si può sciogliere, proprio come il paradosso cessa di essere paradosso, solo in certe condizioni: ciò avviene sempre fuori dalla realtà ordinaria. La percezione non ordinaria resta quieta e ben visibile in presenza della percezione ordinaria. La percezione non ordinaria può essere una immensità di percezioni tutte accomunate dalla caratteristica assenza di una percezione di identità, di individualità. Si percepisce senza riferire a niente nè a nessuno in particolare il percepito. Questo vuol anche dire che chi percepisce non è un soggetto. Se non si è afflitti da pesanti problematiche dissociative, è possibile essere soggetto e assenza di soggetto allo stesso tempo. D'altra parte il soggetto e la sua fisiologia esistono nel tempo, l'assenza di soggetto non ha bisogno di tempo o spazio per manifestarsi. A un certo punto diventa molto sottile la differenza tra quello che io percepisco, ciò che la Natura emette, ciò che la mia percezione crea. Se cerco di indovinare il futuro, non trovo che me, la mia percezione generante. Se non cerco niente, se non voglio niente, ecco che il futuro coincide con ciò che sono, il che significa intensa concentrazione, facilità di uscita dalla percezione ordinaria. Liberazione. Per chi si chiedesse che fine abbia fatto l'amore, l'amore è davvero ovunque, basta che l'amore non abbia un soggetto, dopo molti se, dopo molti ma, dopo molta giusta fatica. La percezione divide e crea, così tutto appare. Se la percezione non divide allora niente appare e tuttavia molto si manifesta. Le manifestazioni-della-percezione-che-non-divide non esistono nel tempo e nello spazio,non sono quantificabili, nè qualificabili. Sfuggono alla logica come alla grammatica. Eppure sono più che mai vive e presenti pur senza essere distinte nè unite. Al di là della conoscenza ordinaria trovo la semplicità del mio vivere e morire intrecciati e sparsi ovunque. Nel cuore in espansione la libertà e certa. L'intensità crescente evoca sensazioni di immobilità, pace, vuoto: l'intensità immobilizza la percezione ordinaria. L'intensità crescente è composta dalla intensità delle molte entità non individuali. La composizione è assicurata da una reciproca compresenza che rassomiglia molto alla telepatia. L'assorbimento e l'espansione sono gli effetti causati dall'aumento dell'intensità nella percezione ordinaria. L'intensità non è un nuovo Assoluto, le presenze al di fuori della percezione ordinaria non sono delle anime. Usare i nomi della Natura è più semplice e poetico, in ogni caso è tutto già presente nel corpo. Nel corpo teoria e pratica, evocazione e dettaglio, vengono spiegati dall'agire della creatività, che sia mia o di altri esseri non ha importanza. L'intensità nel corpo appare naturale, non è una grazia, non è un'invocazione, non è l'aiuto del guru. Solo a livello corporeo comunico e coincido con l'invisibile. Per questo dico che quando la mente collassa nel corpo appare la vita. PRIVATO Il corpo ha una estensione ordinaria e una non ordinaria. Il corpo ordinario quando si attiva diventa un involucro mobile e morbido, il corpo non ordinario non esiste in alcun luogo ed è composto esclusivamente da intensità, e modulazioni di intensità. Tra il corpo ordinario e quello non ordinario esiste un punto di passaggio, unione, transizione, in cui entrambi sembrano composti esclusivamente da pressioni: l'involucro. Nella percezione ordinaria l'Intensità sembra scaturire dall'interno del corpo, questa sensazione è la conseguenza dell'attività di concentrazione e pressione. L'aumento dell'Intensità cancella la sensazione di quella origine. Il corpo, quando comincia a intensificarsi si rivela essere involucro. Nell'involucro, forma attivata del corpo, il ruolo dell'ego è fortemente marginale. L'involucro è in grado di percepire la molteplicità di esistenze parzialmente prive di ego e di quelle del tutto prive di individualità. Il corpo diventa attivo quando riesce a comprendere i propri naturali automatismi e a non esserne più condizionato. Gli automatismi costituiscono l'insieme di pressioni che creano gli istanti di vita corporea e il corpo ordinario e il suo spazio. Quando l'automatismo si placa, ogni parte del corpo si risveglia immersa in una morbida pressione che lo avvolge: l'involucro. Quando l'involucro stesso comincia a intensificare la propria concentrazione allora l'Intensità si rivela finalmente anche nel corpo ordinario, nella percezione ordinaria. Nella percezione e nel corpo ordinario l'Intensità si localizza in una sorta di cuore espanso e in molte altre forme. Ma l'Intensità in realtà non ha un luogo nè è qualcosa di temporale. L'espandersi dell'Intensità nell'involucro permette la percezione di esseri emergenti e compresenti all'involucro, lo stesso involucro pur non dissolvendosi, non assume alcuna caratteristica individuale. Esiste l'Intensità, esiste l'involucro senza esserne cosciente, esistono gli involucri senza esserne coscienti. Il corpo percettivo ordinario contimua la sua vita quotidiana. PRIVATO- E' vero, quel che mi appare vivo o non vivo, animali, piante, cose, polveri, fantasie, è l'intero insieme della percezione ordinaria. Al mutare della percezione muta ogni aspetto dell'esistente. La vita e la morte ordinaria sono aspetti della percezione, la fame, la crescita,il cibarsi, sono aspetti di un dipanarsi percettivo che fa apparire diverso e addirittura smembrato e smembrante quel che in realtà è un flusso in parte spirito in parte energia, almeno da un punto di vista ordinario. Dove vedo un animale c'è in realtà un centro complesso di attività che appare contemporaneamente a me. Io e quel centro di attività siamo compresenti e non diversi, anche se in ambito ordinario possiamo essere uno la causa della morte dell'altro, uno cibo o strumento dell'altro. In realtà non siamo che una unica placida corrente, è la percezione ordinaria che suscita il fenomeno dell'organismo. l'organismo è una dimensione che esiste senza esistere. La percezione ordinaria stessa è un tranquillo placido flusso, anche se non sembra, con tutta la sua violenza e il suo dolore e il suo carico di emozionalità, mi è difficile credere alle mie stesse parole. Devo rimodulare la percezione ordinaria per poter essere, in senso percettivo, di nuovo in pace con quell' impalpabile, placido fluido che l'esistente dovrebbe essere. E non posso che rimodulare l'intera percezione ordinaria, visto che io stesso sono solo una illusoria parte di essa. O tutta la percezione ordinaria riesce a rimodularsi o non ce la farò mai. La percezione ordinaria si rimodula in modo non ordinario in ogni ordinario istante. Questo rimodularsi mi arriva in modo via via più chiaro e intenso. La percezione ordinaria sgretola e aggrega allo stesso tempo. Per alcuni è un processo che ha a che fare con la fede. Per me non è un processo. E' l'esistente, o, a volte,non è affatto. La rimodulazione è un gioco di emozioni e di pressioni estremamente sofisticato che avviene nello svolgimento della stessa vita ordinaria. In quel gioco mi rivolgo al vivente ora come spirito ora come energia, l'onestà diventa un agire incalzante poi le parole tacciono e il corpo esprime il proprio attivarsi. Dopo, svaniscono le mie parole. Nel giardino d'aria l'erba nutre se stessa, rarefatta, pressata dalla brezza, molti cuori attorno, fiducia, abbracci che svaniscono nell'acqua, il fiume s'inabissa tra le vertebre. Poi la luce nella campagna, il freddo mi spinge nel cielo, bagliori del fiume invadono la pelle, tra gli alberi libero il respiro, la mattina, il canneto ricoperto di brina, il volto estatico nella nebbia leggera. La reale funzione delle immagini, suoni, preghiere, e fonti di rappresentazioni creative varie, è quella di concentrare il corpo ordinario in modo che esso possa mettersi in moto, attivarsi in piena autonomia dagli automatismi della percezine ordinaria. Le rappresentazioni creative non indicano la realtà, creano alcune condizioni propizie alla concentrazione e alla sofisticata forma di pressione che la concentrazioe è. La concentrazione è , più in generale, un attivarsi naturale che prima o poi avviene in modo indipendente da qualsiasi utilizzo di rappresentazioni creative. PRIVATO Il problema delle religioni è che oggi nessuno dei religiosi praticanti sa perchè si utilizzino in ambito religioso le immagini, le preghiere, i canti, gli uomini di culto, gli dei. Con un atto di credenza assoluto viene accettato l'insieme d elle pratiche religiose come sacro e imperscrutabile, ma è grave non accorgersi quale sia la naturale funzione di ciò che è stato accettato. Canti, immagini, preghiere, regole, uomini di culto, credenze negli dei e nelle cosmogonie sono strumenti che attraverso vie mentali e fisiche esercitano pressioni sulla percezione ordinaria, la modificano concentrandola in vari modi. Secondo le religioni è la verità della spiritualità che si sprigiona dal complesso delle regole religiose e dai dettami religiosi. E invece non esiste nessuna spiritualità che si manifesti dai dettami religiosi, è la percezione ordinaria che viene modificata tramite i complessi schemi religiosi non per condurre le persone al di fuori della percezione ordinaria ma per farle rimanere al di dentro dell'ordinario e dando a quest'ultimo una forma obbligata e suggestiva, controllata e controllabile. Ciò che è ignoto ai religiosi è che la percezione ordinaria è intimamente creativa, ovvero tende a dare un corpo e una concretezza d'anima a ciò che essa suscita. Angeli, divinità e demoni possono apparire realmente nella dimensione ordinaria, ma loro stessi sono gravati dai limiti egoici della percepire ordinario. La reale funzione delle immagini, suoni, preghiere, e fonti di rappresentazioni creative varie, è quella di concentrare il corpo ordinario in modo che esso possa mettersi in moto, attivarsi in piena autonomia dagli automatismi della percezine ordinaria. Le rappresentazioni creative non indicano la realtà, creano alcune condizioni propizie alla concentrazione e alla sofisticata forma di pressione che la concentrazioe è. La concentrazione è in ogni caso un attivarsi naturale che prima o poi avviene in modo indipendente da qualsiasi utilizzo di rappresentazioni creative. Utilizzare la capacità creativa-concentrativa delle rappresentazioni per replicare schemi di percezione ordinaria è un'attività frequente che sempre scaturisce da percezioni estremamente limitate all'ordinario incapacitate a percepire la naturalità e semplicità della percezione non ordinaria. Il cuore avverte, nell'alba invadente, il cieco umore, solerte ed intimo. Il guado turchese, colma il cielo, poi svetta , appare manifesta, la prepotenza nativa. Amore tardivo, calore di pelle, il vuoto tradito mi apostrofa, sei un notturno, mi abbracci irriverente. Niente cuore, raggiungi la stretta. PRIVATO e PUBBLICATO- Il corpo è più di quanto io stesso possa essere, è sempre prima e dopo e con me, non ha bisogno di alcuna creatività rappresentativa, non ha bisogno nè del soggetto, nè dell'oggetto. Quando il corpo è attivo sono già fuori dalla realtà ordinaria e posso essere unito alla percezione ordinaria senza soffrirne. Ogni immagine, suono, o elemento della natura- pressione del vento, dell'acqua, del calore- esercita una sua pressione sul mio corpo e per me ciascuno di essi è una preziosa occasione di concentrazione, stupore, possibilità di modificazione, da cui scaturisce un' immediata presenza di percezioni non ordinarie. Anche le mie stesse immagini interne, suoni e pressioni ed elementi sono occasioni altrettanto preziose. Le immagini che si manifestano nel corso della pratica degli asana sono ottime pressioni dalle quali lasciarmi concentrare. Non rappresentano niente di reale, come d'altra parte reale non sono le immagini della natura, nè i suoni nè gli elementi naturali, sono semplicemente manifestazioni da cui lasciarsi cogliere e da cogliere. Il mondo delle cose prodotte da noi umani è invece spesso non benefico, esercita sì pressioni e concentrazioni ma che inducono a rafforzare la mia permanenza all'interno della percezione ordinaria. Anche le mie emozioni e desideri esercitano le loro pressioni e mi concentrano in vari modi. Esse se vissute con amore o estrema sincerità- la sincerità non è necessariamente amorevole- possono arrivare a dissolvere la percezione ordinaria molto rapidamente. Io mi occupo del passaggio. Esiste un momento in cui la percezione esterna e interna cominciano a unire invece che a dividere, cominciano a parlare. Sembra che sia la Natura a manifestarsi in un altro modo, non voglio definire cosa succede, è quel che succede a definirsi da solo, quel che si manifesta si modifica, connette, ramifica, fonde, dissolve, intensifica pur rimanendo così come appare nella percezione ordinaria. La percezione ordinaria rivela il suo aspetto non ordinario in modo semplice e spontaneo. Non c'è che percezione, ordinario o non ordinario sono modi del mio apparire. ~ Prendo e osservo, fermo sul liminare del muro in attesa della marea di luce, l'alta pressione dell'oceano lancia la schiuma fino al tetto. Sul liminare del muro, nella luce dei fiori, davvero voglio ballare, ancora mi appoggio sulla terra bagnata, forzo il cielo, non vuoi ballare. Il movimento mostra l'invasione di luci, un deserto fiorito lancia la mente nella notte in attesa, la luce mi sposta nel giardino d'acqua, fontane ghiacciate tracciano musica affilate, gli angoli delle bocche cercano l'azione, non devo ballare, ancora le note rifiutano l'offerta. Il giorno del desiderio affonda negli occhi, riscrivo le regole del cuore, impasto con mani feroci il tatto della marea montante. Non nascondo gli occhi alla rinascita, e corro dentro torbidi coni di luce, nell'aria il vento assedia la vita. Ho ricevuto il dono. Ritorno nel corpo, il sorriso pronto e senza memoria. Senza un gioco, lontano da casa, senza nessuno nel cuore, afferro il vento per allontanarmi da me. Stretto nella fioritura, i calci del vento mi sconquassano, allora mi guardo morire, mi riprendo l'animale di pietra, lancio il gioco contro i muri cittadini, passi stentati diffondono il richiamo tra i cuori, eco indimenticabile. Il sole brucia sulla pelle, la camicia sparpagliata sul corpo, in ginocchio nell'offrirmi, ritaglio la luna col mio cuore, una piega di cartapesta pende tra gli occhi, il carnevale del mio cuore segna il passaggio della stagione. Oltre una certa intensità resta la sensazione del corporeo ma non quella della numerabilità dei corpi. Una fisicità ignota alla percezione ordinaria avanza e incorpora quel che appare essere, dall'interno della percezione ordinaria, una intensità sempre crescente. I concetti filosofici non servono a niente per evocare quel che succede al di fuori della percezione ordinaria poichè la mente ordinaria e la sua facoltà concettuale scompaiono del tutto al di fuori della percezione ordinaria. Il corporeo resta, ma data l'estrema intensità nella quale il corporeo muta, può essere compreso, il corporeo, solo vivendo in prima persona i mutamenti dell'intensità. Corporeo e fisicità, al singolare o al plurale non ha importanza, in questo contesto sono da considerarsi sinonimi. E' impossibile trovarmi a mio agio nella percezione ordinaria. In continuazione ne esco e vi rientro alleggerito. Non sono io che scelgo di rimanervi o di uscirne. Accade e basta, in modo soddisfacente. Il mio corpo è la traccia . Commessioni sempre più intime dissolvono i confini e le differenze nel corpo e attorno ad esso. I sensi, la mente, le cose, gli alberi, le pietre, la notte, la luce, si avvicinano oltre il limite dell'unione, a volte del sopportabile. La vita. La molteplicità delle differenze è la regola della percezione ordinaria, l'unità è una ulteriore differenza. Nel cielo le nuovole si abbracciano, discendono negli alberi incantati, brillano nella sabbia dura, a volte rabbiosa. La morte scorre semplice e gentile nell'intimo dell'abbraccio, i fiori brillano tenaci, vicini al ghiaccio, la corsa dei delfini oltre la terra, oltre i soli. Per me uscire dalla percezione ordinaria è una esperienza fisica, è l'esperienza di un fisico sempre meno <<mio>> e sempre più inglobato ad altre forme di vita che nella percezione ordinaria paiono diverse e distaccate da me. Le attività della mente e dello spirito diventano attività percepite come fisiche appena esco dall'ordinario. L'intenità crescente nella percezione non ordinaria è qualcosa di profondamente fisico, animato che ravvicina le sue parti, non le distacca. Quel fisico è sempre interno, mai esterno, è interno ma non localizzabile. Quello che mi impressiona in modo sempre più CONSAPEVOLE è l'estrema debolezza dell'essere umano, a partire da me. Tutta la sensibilità ordinaria costruisce e testimonia la mia debolezza, la mia incapacità di poter immaginare di vivere nella natura come vedo fare agli altri animali, senza l'aiuto di oggetti, medicine, macchine. Anche le mie intrusioni nella percezione non ordinarie non mi rendono simile agli altri animali o piante. Il fatto è che nella percezione non ordinaria la Natura muta, gli animali, le piante, le stelle diventano compresenti, l'uno parte dell'altro.... . La percezione umana ordinaria è la percezione di una immensa e inconsolabile debolezza. E' una percezione difficile da tollerare. Nel momento in cui tutto si separa io appaio DEBOLE. Ma tutto quel che appare nel mio mondo di separazione soffre di forme di debolezza penose. Tutto muta con me-io muto col mutare di tutti. La percezione ordinaria distribuisce la debolezza ovunque. In questi giorni la concentrazione naturalmente dirige il proprio luogo tra lo stomaco e il pube. La concentrazione ha prodotto anche da sola una bella visualizzazione-disegno. Negli anni i luoghi della concentrazione naturale si sono manifestati nella testa, nel petto, ora lo stomaco-intestino e saltuariamente il luogo sotto le inguini con visioni di cui le uniche testimonianze trovate in giro con cui vedo qualche comunanza, sono testimonianze su kundalini. La forma del cobra eretto avvolto o a spirale o in movimento è una forma interna fisiologica, strano il destino del cobra. Un'altra volta, anni fa, per via di complicate circostanze climatiche e fisiologiche personali, susumma si è aperta fino al ventre, ma qualcosa ostruiva, nonostante i ripetuti tentativi della risalita- benessere successivo. ~ ~ L'esterno conduce all'interno e non viceversa. Quando avviene l'incontrario allora mi trovo del tutto all'esterno, composto da differenze esclusive. L'esterno è pieno di dettagli e manifestazioni comunicanti con l'interno, un comunicare che è dissolversi, riassorbirsi, semplicemente rivelare, mostrare le varie manifestazioni-sensazioni con le quali l'esterno appare essere interno. Interno vuol dire intensa concentrazione. Quando l'esterno mi appare interno io sono molto diverso da quel che ora sono. Il passaggio dall'esterno all'interno non ha molto a che fare con la meditazione, è un accadimento non cercato e non voluto nel momento particolare in cui avviene. Quel passaggio e un percepire in cui non ha senso parlare di concentrazione, meditazione, interno, esterno. Eppure un qualcosa di fisiologico ancora esiste. Costantemente cerco di aumentare la mia capacità di concentrazione. Con l'aumento della concentrazione avverto sempre più chiaramente come il mio interno e l'esterno non mio siano estremamente inclusivi l'uno rispetto all'altro. Così pure avverto il cuore, la mente, il corpo unirsi in modo estremamente profondo e semplice ed esprimere una nuova non individuale fisiologia. Le immagini che spontaneamente si manifestano mi modificano, ma io so che è una forma di concentrazione naturale che non controllo ad operare, le immagini sono un segnale ad essa connesso e da quel segnale mi lascio guidare, incurante di cosa sia il reale. So che il concentrarsi è il reale, quel che ne scaturisce è indicibile. I disegni che eseguo sono la rappresentazione visiva dell'esistenza di una concentrazione in atto e del suo agire. Quella rappresentazione è concentrazione, conduce, rafforza la mia concentrazione e può, eventualmente, essere un elemento di concentrazione anche per altre persone. La concentrazione può esprimere una fisiologia talmente intensa da unificare nella percezione l'interno e l'esterno in qualcos'altro dall'interno e dall'esterno stessi. In quella percezione finalmente non esiste la diversità esclusiva anche se le diversità appaiono esattamente là dove erano prima, ma ora hanno un nuovo corpo, una fisiologia comune, comunicante, sono intrise di amore, amore senza estasi. Quel nuovo corpo lo si vive, lo si diventa, anche se nella percezione stessa non esiste alcun divenire. La percezione, la concentrazione, la realtà, sono nomi diversi per indicare la fisiologia profonda e concreta che io sono senza rendermene conto nella percezione ordinaria. Le separazioni appaiono per via della percezione ordinaria. All’intensificarsi, concentrarsi della percezione, le separazioni scompaiono, lentamente, almeno per me. Mentre le separazioni in me e fuori di me scompaiono, lentamente ogni manifestazione diventa viva e percipiente di per se’ stessa, la sua esistenza non è causata dalla mia percezione. Non sono io che dilago nel cosmo, non è il cosmo che mi assorbe. Pare che la progressiva cessazione della percezione di separazione implichi il manifestarsi di una vitalità-non-separata di ogni elemento ancora riconoscibile delle manifestazioni. Appare una fisiologia decisamente non ordinaria. In pratica il mutare della percezione è sempre accompagnato dal mutamento o superficiale o profondo del reale. Non so se dipenda solo da me la possibilità di percepire in modo non separato, ordinario, so che almeno posso provarci. Il sole varca la zona degli alberi. Notte su notte le mani cadono dal tronco nel fogliame. La terra risuona del tempo interrotto. Le foglie distaccano l'aria , il mio petto scorre nelle pozze di linfa. Il canale tracciato dall'uragano apre una fessura intensa. Nel silenzio appoggio lo slancio del mio corpo sui tronchi crollati.. Osserviamo le vene ruotare nell'aria, descrivere la corsa fra le pieghe della vita, ci uniamo nelle radici divelte. I cuori raccolgono l'aria, sorreggono la foresta ora inesistente, cancellata. La gioia è ciò che è rimasto dopo la fine. E' avvenuto. Nel silenzio, nel corpo. Il movimento al posto del respiro. L'ultima parola assorbita dal mio calore. Dietro l'immagine altro movimento, nel movimento rimane custodita la vita, quella mia, il nutrimento evanescente, l'unione. Non mi posso esibire, nella mano la stretta. Il tempo mi separa le membra, il calore le unisce fuori dal tempo. Inizio avvolto nelle membra. La percezione scorre ovunque, nella fantasia, nel cuore, nel corpo, nelle visioni, nel respiro, nell' ascolto. Il cuore accoglie sempre. Qualcosa è presente e non manifesto, la tranquillità è lenta, ma raggiunge, così un cuore appare. Nel silenzio degli spiriti, anche loro, tutti, tesi verso il cuore, non solo unione, anche dissolversi, non un luogo, nè una tappa da preferire. Appare perchè non si oppone, non toccato da qualsiasi automatismo. Ma senza andare troppo in là, il cuor appare perchè la calma induce mutamenti estesi. Il livello percettivo ordinario è incredibilmente limitato, è il livello percettivo in cui si svolge la vita quotidiana individuale, la vita della società umana. Questo limitato livello percettivo è costituito da un immenso aggregato di spiriti, ogni spirito può riassorbirsi, trovare la pace, essere anche qualcosa di non automatico. TECNICA: ogni parte del corpo personale è un CUORE. La lezione della <<Natura>> della religione <<Samkya-Yoga>> è estremamente presente: alla fine la NATURA sembra starsene da una parte, dall'altra il percepire dissolve, si dissolve, riassorbe. E' così infine ho capito: prima il riassorbimento consuma il (mio) percepire e poi apparirà in tutta chiarezza il perchè della manifestazione del mondo della percezione. So che almeno per me non è possibile vivere in parallelo la genesi della percezione ed il suo riassorbiemnto. Prima avviene il riassorbimento, poi la genesi della percezione sarà compresa. Il luogo svanisce, il petto, le ciglia, maree, e infine dimentico il percepire. Non esito, e dico <<esisto perchè ritorno>>; è un automatismo, non un <<come>>, è la matura che mi crea. Ogni perdita di percezione sembra una frequenza precisa, non un linguaggio, piuttosto l'ultima frequenza di un linguaggio, mai uguale. Non è presente alcun automatismo. Concentrazione intensa e disinteressata,diffusa ovunque io sia. Oppormi alla Natura è Natura, non oppormi alla Natura è Natura. Oppormi alla matura è normale nella mia vita quotidiana, non oppormi è insolito, per quanto sia naturale. Non oppormi alla Natura è qualcosa di prezioso perchè la Natura che avverto come ego e percezione diventa attiva, viva, sempre meno automatica. Qualcosa cambia. E' difficile trovare una parola che per me definisca il luogo in cui si dissolvono i legami, le azioni che generano la realtà in cui ha luogo la mia percezione, sia quella ordinaria che quella non ordinaria. Non si tratta nemmeno di un luogo, è qualcosa che tende a cancellare la mia presenza stessa. Il dissolvimneto, il riassorbimento sono distribuiti ovunque, ovvero li trovo presenti negli stati di concentrazione profonda come nella vita ordinaria. Se non li cerco, loro prima o poi mi trovano, io del resto non ci tengo a starne lontano. Tra la mia vita e il mio essere ordinario ed il riassorbimento, trovo i legami,le forze attive che vedo creare me, le mie emozioni, desideri, la natura che mi appare attorno. I legami sono il punto di equilibrio del mio percepirmi tra il dissolvermi- che al tempo stesso è il dissolvimento della realtà- e il mio partecipare in maniera attiva ed automatica alla creazione e manifestazione della realtà. Quando percepisco chiaramente i legami- intesi come le forze che generano la Natura in cui vivo e appaio- appare l'amore, un amore particolare, normalmente estraneo alla mia vita ordinaria: da una parte avverto una estrema intensità amorevole che mi dissolve, dall'altra una forza amorevole mi induce a non abbandonare gli automatismi della realtà ordinaria. In questo momento se io decido il da farsi, mi illudo, non sono io che decido, ma qualche forma di automatismo e, ho potuto costatare, quella forma di automatismo può anche collocarmi in una dimensione di falso dissolvimento-riassorbimento. L'equilibrio che io conosco è pieno di amore ma non è estatico nè interessato alla felicità. Qualcosa agisce e non devo interferire a meno che io non intenda sostituire all'amore una qualche volontà, un possesso. Se giungo al possesso ed alla mia volontà senza volerlo, ancora esiste l'equilibrio ma in questo caso io non sono giunto a niente e non esiste un agente anche se un agito appare. Non è un gioco ciò di cui parlo, è il mio modo di non lasciarmi sopraffare dalla volontà di possesso e di potere della realtà in cui appaio e al tempo stesso è il mio modo di comprendere quella realtà. Una corrente si forma, un movimento la scioglie, asana dopo asana, corrente dopo corrente, l'intensità prima o poi giunge laddove la corrente viene sciolta. E' il respiro degli asana, non il respiro umano. Il respiro degli asana è dissolvere le correnti della natura, una dopo l'altra, a ogni corrente si sussegue un asana che dissolve la corrente. Gli asana sono loro stessi natura, il dissolvimento non è estinzione, è concentranzione, intensità, assorbimento; poi di nuovo una corrente appare. Unione nella natura tra manifestazione e consumare la manifestazione stessa.E' l'unione, è la natura, non è che una parola, è uno dei significati inspiegabili attribuiti allo yoga. Sul tappetino, impegnato in un asana, niente sembra automatico, irreversibile, anche se non compaiono risposte. Sul tappetino sembra che il riassorbimento abbia addirittura una sua fisiologia, l'asana, appunto. Il respiro degli asana non provoca l'emergere di contraddizioni, differenze. Posso, con la complicità della luce. La vedo brillare e invadere. La luce ancora è presente oltre il suo splendore, allora prendo, cammino nel mio stesso aspetto, condivido, cammino finalmente fuori da ogni attesa. Fuori da ogni respirazione, senza alcun legame. In equilibrio senz'aria, va bene. L'equilibrio che mi interessa è quello che non scelgo, che non voglio e che si manifesta spontaneamente. In quell'equilibrio appaio ancora come una coscienza puntiforme, quotidianamente ordinaria ma anche come qualcosa di molto diverso, di non cosciente, diffuso. Molto tempo fa, desideroso di vivere in piena libertà da qualsiasi condizionamento, mi sono scoperto, un giorno, a volere essere libero dalla mia stessa coscienza e dal mio stesso modo di percepire. Non ne potevo più, allora come oggi, di non essere che un punto cosciente all'interno del mio cervello avvolto in interazioni più che altro profondamente automatiche con un esterno-interno separato da quel punto di coscienza. Non ho cercato nulla tramite quell'unico punto di coscienza-percezione che sempre rimanda le emozioni e i desideri a se stesso, non può fare altrimenti. La coscienza, almeno la mia coscienza e la mia percezione, diventano diffuse in modo naturale, spontaneo, non è qualcosa che ho imparato a fare, cessano di essere coscienza e percezione. Io esisto ancora, nel senso che sono vivo, ma sono profondamente coinvolto in una manifestazione che seppure priva di una forma di coscienza e percezione localizzabile, è estremamente intensa e concentrata, estranea ad ogni appagamento emozionale del mio io puntiforme. Non sono un nemico della mia coscienza puntiforme, ma essa mi si rivela come una delle forme di intelligenza e sensibilità più limitate che io- bel gioco di parole- conosca. Tra il mio io puntiforme e l'estrema e diffusa intensità-concentrazione appaiono una miriade di altre esistenza, di cui moltissime dispongono come me, di una qualche forma di coscienza puntiforme ma spesso si tratta di coscienze molto prossime a un punto di equilibrio con l'estrema intensità o addirittura esistono in uno stato in cui la coscienza puntiforme non interferisce con una stabile e costante attività di riassorbimento. Non sono io, come io puntiforme, che posso decidere dove dirigermi ovvero se rimanere un io di coscienza puntiforme o qualcosa finalemte privo di tale coscienza, quello che dico per me significa spontaneità, non interferenza, natura. Sofferenze e piaceri, gioia, costituiscono la fisiologia della coscienza-percezione puntiforme, sono il primo apparire del corpo e della natura ordinaria, sono il luogo del ristagno iniziale. Tutti il resto vien da fuori, altra natura, altro apparire, altre parole. Inoltre le sofferenze e i piaceri costituiscono anche l'habitat primario del luogo in cui ci si trova dopo la morte, luogo in cui ancora si esiste sottoforma di coscienza-percezione puntiforme. -Il sonno che ho scelto riguarda strani argomenti, ancora ignota è la sabbia che mi coglie, annuire nell'ombra, basta, assistere alla marea, la vita.- La vita e la morte sono parte della esistenza della percezione puntiforme, essa le attraversa entrambi. Le stagioni della vita puntiforme mi sembrano numerose. Non le ho volute, quando si esauriranno si esaururà la Mia coscienza puntiforme, so aspettare. La percezione puntiforme esiste senza esistere, è effettivamente pura illusione, ma non nel senso logico discorsivo sostenuto dal buddismo. La percezione puntiforme vive di una sua propria fisiologia che è illusoriamente chiusa in sè. L'illusione è molto densa, ha una struttura, è fisiologica, si autoreplica per opposizione. Se si riesce a connettersi alla fisiologia cosmica,tanto per darle un nome, collettiva, globale, di cui la percezione puntiforme è parte, allora essa esiste senza replicarsi, appare per quel che è. La connessione avviene per molti motivi, essa è un fatto naturale e apparentemente sorprendente. I motivi non hanno origine umana, non sono umani, non sono puntiformi, in senso stretto non sono vivi. Per me è stato importante accorgermi che la vita e la morte sono del tutto mischiate, sono viste in successione solo dall'interno della percezione puntiforme. L'IO puntiforme comincia a dissolversi al di fuori del proprio ciclo automatico vita-morte. La fisiologia del riassorbimento non prevede la duratura persistenza dell'IO. Nella fisiologia del riassorbimento l'Io diventa ciò che è: la percezione di un sogno. Io non ho mai potuto controllare la mia presenza di coscienza puntiforme, l'aumento di intensità che chiamo riassorbimento, l'equilibrio spontaneo che spesso si manifesta come una vera e propria presenza esistente tra riassorbimento e percezione puntiforme, l'alternarsi degli stati di sogno, vita, morte, partecipazione a corpi multipli sia visibili che invisibili. La quotidianità puntiforme mi si presenta spesso come un'immensa possibilità di trasformazione creativa di sè stessa più che di me stesso. Nelle sue trasformazioni quel che io ero muta, muta nell'intensità e si dirige verso il riassorbiemnto. Il mio giudizio non è richiesto poichè i mutamenti arrivano prima della possibilità di qualsiasi giudizio e, spesso, l'attività del giudizio semplicemente non appare abbastanza sensata e intensa per manifestarsi. La quotidianità puntiforme, la percezione puntiforme, la natura puntiforme, mi plasmano in continuazione sospingendomi di istante in istante da un fastidio a un altro, da un piacere ad un altro da una mia individualità ad un'altra e io non posso accusare nessuno di questa gran fatica poichè proprio io stesso sono la manifestazione unica del tutto, anche se desidererei la presenza di un cosmo benevolo o almeno di leggi naturali comprensibili. E invece niente cosmo benevolo nè leggi. Mi immergo nei miei momenti. Collasso nei miei istanti e per fortuna nel mio corpo, sapendo che non mi appartengo e che i miei istanti e i doveri che la percezione mi impone scorrrono indisturbati dalla mia comunque attivissima partecipazione. La partecipazione alla realtà ordinaria non può che essere mia, non certo di un mio alias, ma il mio io non si appartiene più da tempo poichè la realtà ordinaria di cui sono fatto ora mi appare stabilemnte un sogno ordinario ed evanescente. Ma anche i sogni, almeno quelli che mi compongono e precepiscono, vogliono essere vissuti. D'altra parte l'evanescenza di un sogno e la sua assenza sono due manifestazioni estremamente diverse. L'intensità muta il mio io puntiforme, l'intensità ha trasformato la mia certezza della realtà percepita in certezza del sogno, l'intensità dissolve la realtà quotidiana dal di dentro, la riassorbe. Dell'intensità posso dire solamente che a un certo punto mi è apparsa e più essa diventava qualcosa di stabile più io diventavo un sogno. L'intensità di cui parlo è semplicemente la mia stessa percezione che diventa progressivamente, o a scatti, sempre più intensa. Intensificandosi essa mi cancella. La cancellazione del mio io significa qualcosa di molto preciso: 1- Il mio io e la realtà che da esso emana diventano non credibili. 2- Progressiva perdita del desiderio di trattenere qualcosa per me 3- Attiva partecipazione alla vita quotidiana con la noncuranza tipica che si ha verso il mantenimento della propria realtà onirica. In fondo mi rendo conto che sto parlando dall'interno di un sogno io stesso facente parte del sogno ma, ripeto a me stesso, il sogno vuole essere sognato. Io, poichè sono il sognatore, non posso assentarmi. l'intensità non è un sogno, quindi tace e dissolve. E mi nutre il cuore. Per ora è l'intensità a rendermi sognatore e al tempo stesso intensità. L'equilibrio tra percezione individuale puntiforme e riassorbiemento,intensità,non ha struttura, non ha una durata altrimenti, almeno così ora mi appare e potrei sbagliare, diventerebbe una forma di esistenza in perenne ristagno, pilotata da un controllo e potere tipico della realtà puntiforme e sintetizzabile in due tristi parole: consapevole autosuggestione. Quando la realtà della percezione puntiforme comincia a dissolversi e appare simile a un sogno, i fatti, i desideri, il dolore, la sofferenza, vengono sostituiti da impulsi, o almeno esiste la possibilità di vivere gli impulsi dell'agire della percezione puntiforme come unica realtà, in sostituzione dei fatti stessi. Questa possibilità dipende dalla stabilità della intensità a me manifesta. Questa possibilità è la testimonianza tangibile del riassorbimento naturalemente in atto anche all'interno della percezione puntiforme. ( La fisiologia dei centri di attività è particolarmente ricettiva alla realtà sentita come <<impulsi>>). La percezione degli impulsi dissolve la natura sognante della percezione e diventa una nuovo percepire, la coscienza puntiforme perde il suo centro, diventa una presenza che non genera automatismi. La percezione non puntiforme degli impulsi e la fisiologia dei centri di attività appartengono alla stessa manifestazione e intensità ma inizialmente appaiono in circostanze diverse. La natura che conosco è generata da circostanze, non leggi o processi. Le circostanze in atto sono molteplici e quindi appaiono realtà percettive molto diverse nello stesso momento. Quando la mia intensità percettiva aumenta progressivamente, le realtà percettive che appaiono si sovrappongono al mio io puntiforme. Le attività generative non cessano all'aumentare della intensità, entrano in uno stato di automatismo sempre più avvertito come pacifico, non legato ad alcun potere. L'automatismo pacifico è un altro segno del progressivo e naturale riassorbimento in atto all'interno delle diverse forme di percezione presenti. La nebbia è quel che percepisco. La moltitudine e l'unità, unite, divise, non sono che la mia nebbia. Il mio corpo è fatto di velature, l'ambiente in cui vivo è una trama di velature, la mia percezione una presenza di velature. La tenacia, resistenza e consistenza di una velatura è essa stessa una nuova velatura. Una velatura mi sembra ora viva, ora morte, ora membrana, colore, odore, pressione, sentimento,concentrazione. Una velatura è la mia presenza in un tutto che è anche l'incontraio di quel tutto, il ristagno perfetto, non un incessante dinamismo. Le velature posseggono la mia vita, loro la precedono e inventano la mia presenza, ma la velatura vive nel ristagno quindi è impossibile deciderne il presente, il passato o il futuro senza continuare a generare velature. Un certo tipo di concentrazione, legato ad una crescente intensità, una certa qualità dell'amore in cui vi è completa assenza del possesso di sè stessi e di qualcos'altro, sciolgono le velature. La realtà percepita come impulsi rende percepibili le velature come presenze come singolarità, come manifestazioni slegate dal perfetto automatismo in cui sembrano manifestarsi. Qualsiasi percezione è il sintomo della presenza e della vicinanza di una velatura. Il cosmo è una rete infinitamente complessa di velature, gli spiriti sono velature. Anche le velature, come qualsiasi cosa che io possa nominare, naturalmente si dissolvono. La percezione del dissolvimento di una velatura è una velatura molto particolare poichè nasce nella consapevolezza del proprio dissolvimento, riassorbiemento, equilibrio. La presenza del dissolvimento di una velatura non è volontaria, muta l'esistenza delle altre velature, è qualcosa che non riguarda gli accadimenti del mondo ordinario in cui vivo dal cui interno nessuno può proclamarsi, nè essere proclamato, una velatura illuminata. Non posso cercare di dissolvere una velatura, sono le velature che mi avvicinano e nella loro intimità mi dissolvono e si disvelano. Il loro disvelarsi restituisce autonomia alla materia, l'aria, il respiro, le fantasie, i suoni, li rende simili a spiriti, mi trasforma in centri di attività autonomi, ma non mi risparmia gioia e dolori, questo è il senso del mio equilibrio. Quando la realtà ordinaria diventa molto più affollata di viventi del solito, so che sono prossimo al pulsare degli impulsi, le velature diventano manifeste, intense, a volte orribili per un attimo poi, dissolvono. Se mi esalto sono perso, se ne parlo sembro stupido, se credo che Io abbia capito qualcosa tutto svanisce. Le velature non danno conoscenza esportabile nella realtà ordinaria, la conoscenza non ordinaria è quantomeno sognante, se cerco di trattenerla mi lego ancora di più alla realtà ordinaria che è prive di velature manifeste, ovvero è la velatura perfetta almeno per un attimo lunghissimo di densa inesistenza. Quello che io, in momdo non particolarmente originale, chiamo riassorbimrnto, è il manifestarsi di una presenza fatta a volte di luce, a volte solo di pressioni, a volte di suoni o intere complesse visionioni che non solo rendono silenziosa la mente, ma rendono la mia presenza molto limitata e inattiva. Quella presenza costituisce una dimensione dove io non esisto come singolarità. Avverto parti del mio corpo spalancarsi, veri e propri canali attraversarmi, sensazione di essere nutrito, sollevato da terra e disseminato nello spazio ma quel che avverto mi riguarda appena in parte. Percepisco la mia importanza ed il mio ruolo in modo estremamente ridotto, silenzioso, pacifico, non ostacolante. Il riassorbimento non avviene sempre ma so che è molto spesso a me vicino. Per me sono esistiti una sorta di luoghi di passaggio tra la percezione ordinaria ed il riassorbimento e tutt'oggi questi luoghi si manifestano, spesso automodificandosi. I luoghi di passaggio li ho chiamati in modo diverso in relazione alla diversità del modo e delle circostanze in cui si manifestano nel corso della mia vita. Fino ad'ora li ho chiamati centri di attività, pulsazioni, velature, canali, ho usato termini spesso riconducibili in parte o del tutto al patrimonio culturale induista, poichè l'induismo contiene in modo dettagliato e consapevole riferimenti a ciò che chiamo le fisiologie dell'invisibile. Lo sguardo chiama, forse gli occhi tremano, il cuore è nel cervello, il pensiero mi distacca, prova il proprio autonomo spirito. Con la pace, tra i cespugli stretti nelle linee del vento. Il mondo è vinto, dimenticato nella cenere del rapido volo di un fagiano. Il mare indietreggia, resto privo dello sguardo. Il calore del petto getta l'aria, termina la partenza, non temo il canto ostico del dolore. Il giorno mi depone in una pista rovente. La lucertola mi squama, è sua la primavera. Qualsiasi cosa tocchi, chiami, sfiori, è coscienza, è viva; al mio contatto, fisico, psichico a altro che sia, si riorganizza e genera conformazioni che pur rimanendo la stessa coscienza di prima sono nuove, nuove parti di un sogno. La velocità dell'espansione del sogno è quella della percezione, nel caso presente, della mia percezione. L'espansione è così veloce da annullare la differenza della percezione tra una mia, sua, naturale, cosmica percezione. Più osservo la percezione più essa mi arretra in un apparire che sembra, senza esserlo, una invenzione letteraria, la percezione mi chiede di agire e di non reagire. E così torna il canto noto dell'agire il quale afferma che Io non agisco, posso solo reagire. Il vento conduce nelle manifestazioni libere, non condizionate dal percepire ordinario, anche se poi Io credo di vederle, udirle e addirittura poterle toccare davvero. Io credo perchè nel sogno sono un credente, ma sono un libero credente e la libertà ignora il mio io, così me ne libera. La libertà è manifestazione di libertà, una fluida marea di pressioni che unisce le circostanze del mio apparire. Io non mi riassorbo nè dissolvo, è un infinito oceano di percezione individuali a riassorbirsi che posso osservare solo cessando di reagire. Il vivente, l'esistente nella realtà ordinaria è generato automaticamente dal mio reagire, quella generazione oscura nella vita ordinaria la presenza del riassorbimento. [PRIVATO] Avevano ragione, avranno ragione, hanno ragione_ è estremamente importante rimanere SEMPRE concentrati nell' intensità. Le manifestazioni dell'intensità sono l'unica comunicazione esistente tra tutte le infinite forme di entità emergenti o in riassorbiemento. La capacità comunicativa dell'intensità è qualcosa di molto particolare, alla cui esistenza per molto tempo si stenta a credere. _Molto tempo fa mi sono chiaramente accorto con estremo fastidio degli innumerevoli automatismi che costituiscono e incessantemente costruiscono ciò che sono. Da quel giorno non esiste istante in cui non voglia liberarmi di quegli automatismi e, ne segue, di liberarmi di me stesso. QUella volontà di liberazione è la prima traccia che ho scorto nella percezione ordinaria della capacità di comunicazione dell'intensità (del riassorbimento). (Quella volontà non poteva e non può essere l'effetto di un ennesimo automatismo emergente, quella volontà è il semplice ma efficace linguaggio dell'intensità del riassorbimento.) Liberarmi dagli automatismi coinvolge e modifica l'intero insieme di circostanze che mi hanno prodotto. La liberazione cui mi riferisco non è un fatto individuale ma investe l'intera natura, è essa stessa uno degli elementi costitutivi della natura. La liberazione è una manifestazione dell'intensità, è un agire senza generare, è un entusiasmo di pace. Gli abbracci del calore discendono, il ritmo corporeo, l'unità degli spiriti. Gli alberi aprono passaggi. Ultimi contatti, la visione sceglie l'interno. Il calore insostenibile affiora. Le api tratteggiano l'orizzonte. Scelgo. Lasciare che gli impulsi, seppur chiarissimi, siano la realtà è molto difficile, poichè la realtà ordinaria in cui appaiono sembra completamente contraddirli. La realtà ordinaria è dominata dalla separazione, dal ristagno, dalla difficoltà. Gli impulsi si caratterizzano per l'entusiasmo, per non svolgersi nel tempo, per avvenire nel facile, nell' impossibile. E' la festa degli spiriti e della loro felice scomparsa, riassorbimento, eclissi. L'agire esterno diventa impulso, l'impulso è oltre l'interiore e oltre l'esteriore, l'impulso è molto vicino all'intensità impossibile, non è separabile da quella pur sembrando a volte diversa da quella. (Esiste quindi una possibilità esterna verso l'intensità). (Proprio come nella corsa).Solo nella percezione ordinaria le circostanza restano separate. La percezione non ordinaria, non va cercata, viene incontro da sè. Gli impulsi non danno benefeci, come si usa dire, <<materiali>> nella percezione ordinaria, ma sono incredibilmente benefici. Il calore lascia il mondo del sale, riporta l'acqua nella sorgente, i reni pompano linfa, il fuoco del cuore invade, l'oceano affiora negli occhi, il sale vola nell'aria, mischiato alla luce, all'odore delle labbra, del salmastro, le mani incrostate di paglia marina sciolgono nell'acqua la fatica del giorno- (Coro)Gli abbracci del calore discendono, il ritmo corporeo, l'unità degli spiriti. Gli alberi aprono passaggi. Ultimi contatti, la visione sceglie l'interno. Il calore insostenibile affiora. Le api tratteggiano l'orizzonte. Scelgo. Il giorno mi depone in una pista rovente. La lucertola mi squama, è sua la primavera. Non posso guardare il cuore. Troppe luci mi sollevano, irresponsabile rilascio, terra frettolosa, il pomeriggio lascia intatto il coraggio. Il cuore altrove, suo stesso interprete. Vedere, molto. E poi , ancora aspetto. Il punto di svolta: l'azione è altro dall'agire, il percepire è altro dal percepire, ma ,allora, non chiedo, non domando e quindi non sono, mi inganno senza morale e con molte memorie, nulla manca, io stupito, stupido. Non cerco nomi, gioia senza nomi, volo e niente aria. Respiro libero, mordo la pelle del demonio- è una canzone. Sorrisi scorrono nelle molecole dischiuse dalle primavere, calma nella terra del mio corpo, ancorato nella folla degli scogli, mucillagine da essiccare, sollevato. <<Le emozioni mi abbandonano, non mi trovano così interessante, hanno i loro progetti, san bene cosa fare, lontane dal mio cuore, mutano nell'anarchico, maleodorante , furto del mio cuore, ombre incapaci di tutto tranne che di amarmi. Accogienza informe, presto nella scogliera a denudarsi per ricevere il sole inesperto, nudi nell'amore.>> Il problema sollevato dall'unione nella percezione profonda è che la parola <<unione>>, in questo caso, tenta di indicare la manifestazione contemporanea,non contradittoria e priva di distinzione di molti esseri, emozioni, significati, una sorta di armonia di inconcepibile intensità, di impossibile logica ma reale, presente e, a suo modo, estremamente semplice. Il risultato dell'unione lo posso chiamare riassorbiemnto, impulsi, ma non si fa certo ridurre o condurre dalle mie parole. Il problema sta nella impossibilità di indicare il mio slancio- forse gli innumerevoli slanci- col quale avviene l'unione. Lo slancio ha a che fare con la mia vita individuale, non è un calcolo, un insegnamento. Stranamente posso uscire dalla mia individualità senza la quale l'unione diventa possibile. E' un passaggio emotivamente intensissimo. La neve nasconde la difficoltà. Ore piene di gratitudine per la gioia annidata nelle cartilagini, ancora flessibili, trattenute dal cuore, La luce sostiene il cuore, cancella il colore e la forma, le pressioni fluiscono, quella è la presenza manifesta. A volte sembra troppo semplice per essere vero, ultime esitazioni, l'entusiasmo unisce, l'unione è oltre l'entusiasmo. ( La manifestazione delle pressioni è, tra le manifestazioni, quella meno adatta ad essere descritta. Per quanto si tratti di pressioni vissute come eventi palesemente fisici, la loro descrizione creerebbe inevitabili e inammissibili pregiudizi-suggestioni percettive. La manifestazione delle pressioni è ovunque presente, nella prcezione <<ordinaria>> come in quella << profonda>>. La presenza della manifestazione delle pressioni è di fatto una onnipresenza, è la mia guida in un dedalo di fisiologie mutevoli, è la mia guida più auto-evidente e non illusoria per uscire dalla mia stessa individualità. Per me è importante fare attenzione a non eccedere nella descrizione e ricerca di nuovi strati fisiologici extra-individuali. Quando attribuisco forme di individuazione e individualità alla manifestazione delle pressioni, nascono - si tratta proprio di una nascita - strati e flussi di fisiologie. Le pressioni non hanno nessun bisogno di essere individualizzate per manifestarsi. Come sempre, almeno nel mio caso, meno riferisco le pressioni alla mia individualità è più frequentemente esse appaiono. Spesso ho dovuto notare che la mia decisione di avviarmi in un cammino di autonomia percettiva, di liberazione della e dalla percezione, mi conduce in aree appena accennabili, o impossibili da comunicare o troppo pericolose da comunicare.) L'Io di fatto non fa nulla, è solo una sensazione passeggera che al pari della sensazione del freddo o del caldo è suscitata da altri agenti. Quel che agisce e si muove o non muove è tutt'altro. Queste stesse parole non sono dirette all'Io, il MIO IO non può che provarne disagio. L' Io è una sensazione passeggera ma molto tenace. Tutto quel che accade, <<Io>> compreso, non dipende dall IO. Per comprendere quel che accade è necessario che l' Io sia assente. La comprensione inizia solo in assenza del MIO IO. Questa è percezione profonda. Nessuno può dimostrare la capacità di percezione profonda propria o altrui. Percezione profonda è anche vivere e percepire gli automatismi senza lasciarli manipolare dall'IO. Devo ammettere che per il mio IO è del tutto insopportabile lasciarsi estromettere dalla manifestazione degli automatismi. Ma gli automatismi non manipolati dall' IO sono qualcosa di imperdibile. Gli automatismi prima o poi mettono a tacere l' IO. Quasi sempre mi trovo in difficoltà a parlare della percezione profonda perchè mi vedo costretto ad operare una continua scelta fra due utilizzi del linguaggio: il linguaggio poetico o il linguaggio semi-filosofico. Nel primo caso mi esprimo in modo fin troppo evocativo, nel secondo caso non riesco mai a dire cosa veramente mi succede quando parlo di percezione profonda. Ho le mie buone ragioni per non parlare con precisione di quel che veramente mi succede quando parlo di percezione profonda, eccone alcune: la maggior parte delle cose che mi trovo a vivere sono significative da un punto di vista psico-patologico contemporaneo, si tratta di un vissuto che se espresso sembra formulato apposta per stupire gli altri o assumere l'aura di un guru, ancora peggio qualcuno potrebbe imitarmi. Ma non ne posso più di continuare a ondeggiare tra linguaggio poetico e linguaggio semi-filosofico per comunicare qualcosa che non ha nulla a che fare con la poesia o con il pensiero. E così comincerò a raccontare le cose che mi succedono. Speriamo bene. Qualcosa che rassomiglia a una intensità e a una pressione continuamente mi plasma, io a mia volta non sono che intensità e pressione anche se il mondo di cose in cui vivo sembra contraddirmi. Quella intensità/pressione non è misurabile, non è di un fenomeno fisico o di qualcosa che davvero disponga di un plurale o un singolare ciò di cui parlo. Preferibilmente parlo della mia giornata quotidiana. Io comunico. Questa è la mia quotidianità. Comunico le pressioni che mi vengono trasmesse. Non ho preferenze, sono stato già scelto e ora decido, in ogni istante decido. Le pressioni, le intensità, non sono passive, nè attive, sono decisioni e volontà - altrimenti non avvertirei la fatica. E' l'intensità che tiene insieme gli spiriti che si divertono ad assemblarmi, è l'intensità che rende reale la mia impressione di essere davvero nell'ascensore che ogni mattina prendo. L'intensità non mi attribuisce alcun potere, tanto meno mi rende possibile il rifugio nella gioia di poter dire tutto e l'incontrario di tutto perchè tanto è l'intensità ad agire ed <<io>> non sono che un effetto collaterale insignificante di quell'agire. Sono io che decido di essere intenso e se sbaglio decisione mi perdo nell'ipotesi, nel pensiero, nel dubbio. Non sono un uomo << del fare >> che ama decidere, so piuttosto che la decisione ( la mia decisione non è sicurezza o certezza) è l'aspetto creativo dell'intensità che mi attribuisce la vita, anche se la vita mi sembra di solito annidata e isolata in un punto del mio cervello. Non voglio rincorrere le parole per definire qualcosa, per quanto ne sappia le parole non sono mie, sono intensità che non voglio vivere in modo passivo. Io amo essere attivo e fuggo dall'azione forzata. Se non mi sento intenso ed attivo ( e non mi sono appena svegliato ) che senso avrebbe il comunicare, il comunicare mi precede. Io sono comunicazione perchè è l'intensità a rendermi tale e so che in profondità nessuno vuole felicità-pace-e-amore ma tutti sperano di ottenere intensità e senso. L'intensità mi impedisce di essere potente, non posso che essere creativo, quando cammino, quando guardo, quando mangio, quando amo, quando sono altri spiriti ad impossessarsi di me. La mia creatività e comunicazione hanno solo in parte a che fare col fatto che dipinga, disegni, faccia yoga o tenti di scribacchiare. La creatività di cui parlo è ciò che mi porto addosso nell'invisibile, la molteplicità di fisiologie che sorgono incessantemente dall'amare, dal non cercare il responsabile della mia incontenibile gioia, dal non fuggire dai volti della violenza che mi raggiungono. Li affronto. I miei sentimenti, la mia percezione, sono una forma creativa dell' intensità. L'intensità comunica le sue manifestazioni in modo creativo ed i miei sentimenti e percezioni sono allo stesso tempo la intensità comunicante, la manifestazione della intensità, la forma creativa della intensità. L'uso del paradosso e della evocazione sono propri dell'utilizzo logico-narrativo del linguaggio deciso dalla mia natura puntiforme. Quando mi concentro e attribuisco al linguaggio la sua effettiva natura organica e vivente che è completamente autonoma dal mio volere puntiforme, allora per le parole niente è paradossale o evocativo- per questo a volte parlo di natura sognante della realtà. Paradosso ed evocazione linguistici esistono solo in un utilizzo e percezione antropocentrica del linguaggio. Io parlo e scrivo, ma non sono io l'autore delle mie parole. Il significato non esiste perchè è assorbito dalla intensità presente. La vita fluisce di sua iniziativa, se mi avvicino alla vita le mie emozioni diventano vento, i miei fremiti diventano canali privivi di ostacoli, il mondo cessa di esistere perchè l'esistenza è completamente concentrata negli impulsi presenti che rassomigliano al sogno, all'infinito. Io parlo ma il senso è l'intensità, il mio corpo si salda in vortici aperti dal vento lagunare, le emozioni riconoscono galassie brillare nelle radici e nei tronchi degli alberi del parco. Ciò che sono mi appare continuamente in altre manifestazioni, ma non vivo un continuo divenire nè mi relaziono con più ampli e mutevoli contesti. L'espressione dell'intensità unisce ogni mia modificazione lasciandola libera di esistere nel molteplice. L'intensità è il molteplice, è la fisiologia mutante, è la mia percezione puntiforme. Perchè l'intensità sia così io non lo so. So che chiedermi quel perchè riduce la concentrazione della mia intensità, al ridursi della concentrazione il mio corpo e il mio essere si rafforzano nella loro manifestazione puntiforme. Con l'aumento della mia concentrazione nell'intensità non ottengo le risposte che da sempre cerco nella vita ordinaria. Certo, non ottengo risposte ma percepisco il mio corpo e il mondo circostante modificarsi con una sensatezza e vivacità completamente ignote alla natura puntiforme. Nessuno mi chiede di scegliere e io non scelgo. Non posso scegliere ciò che già sono, sono creativo senza essere IO l'origine della creatività, la creatività mi precede. La fisiologia mutante è il luogo in cui la creatività è manifesta ma priva di identificabilità, l'unione procede senza interferire con il manifestarsi del molteplice. Quando mi concentro in me stesso trovo molte individualità autonome che ascoltano e comunicano tra di loro. Una sola tra loro ascolta senza comunicare, si tratta di quella la cui comunicazione avviene solo con l'esterno ( dall'interno ). Non so chi l'abbia scelta per ricoprire quel ruolo, so che quella voce parla solo con l'esterno, all'interno guarda e tace. Quando mi concentro al mio interno, quella individualità ( che da sola non costituisce il mio io ) vede chiaramente che nel mio interno sono presenti ugualmente individualità interne ed esterne a me, dotate di capacità comunicative e e percettive molto più varie di quelle attribuite ai normali cinque sensi. In ogni caso l'interesse generale delle interne <<individualità autonome che ascoltano e comunicano tra di loro>> verso di me è molto debole. Quando mi concentro all'esterno di me stesso se non esercito alcun controllo su quel che appare, non lo interrogo, non tento di esserne un portavoce, un amante ed evito di esserne terrorizzato, allora le individualità presenti diventano numerosissime nel visibile e nell'invisibile e appaiono anche molte manifestazioni prive di individualità ma ugualmente percepibili, addirittura visibili. Concentrarmi all'esterno di me vuol dire diventare particolarmente sensibile a ciò che non dipende dalla mia momentanea volotà. <<Diventare>> vuol dire che io mi disinteresso a me, è possibile farlo, è addirittura naturale. Se lascio che la concentrazione agisca fuori dal controllo, un controllo che solo in parte è originato da me stesso, l'individualità dedita esclusivamente all'ascolto interno non comunica più con l'esterno, ciò che dipende dalla mia volontà e ciò che non dipende dalla mia volontà MUTANO FISIOLOGIA e nuove fisiologie emergenti in contina e contemporanea fase di impulso e riassorbimento appaiono. Non permetto a nessuna individualità, entità, fisiologia, visibile o invisibile che sia, di rafforzare la propria esistenza tramite il mio agire, e va da sè che tra queste individualità ci sia anche il MIO IO . Più si riduce il ruolo di qualsiasi individualità tanto al mio interno che al mio esterno più l'intensità appare. Anche se può sembrare assurdo dirlo, << il ruolo della individualità >> non è un concetto ma una impressionante, articolatissima e stutturatissima presenza, natura, fisiologia. Dall'agire di quella natura emana fisicamente la mia percezione e fisicità puntiforme. Io utilizzo l'invocazione per connettermi con l'invisibile di cui non avverto la presenza nella manifestazione presente ma della cui presenza in qualche modo sono consapevole. L'invocazione - che non è il mio io puntiforme- comunica con ciò che avverto senza sentire, comunica con una presenza molto più unificante di ciò che mi sembra stia agendo al momento in me e per me. Quel che mi sembra esistere è quasi sempre incluso in ciò di cui avverto l'esistenza ma in cui ancora non mi sento incluso. La mia percezione puntiforme mi obbliga a una quasi continua permanenza in una doppia esistenza: da una parte posso comprendere e sentire e amare molto senza sentirmi unito a nulla, dall'altra parte l'unione diventa intensa ma non riguarda alcun aspetto individuale del percepibile. L'invocazione unisce le due esistenze, è una invocazione silenziosa e privata, palpitante, non rappresentabile. L'invocazione è fatta di un sentire specifico e conduce a stati specifici, immagini, visioni, presenze che compongono sensi non manifesti. L'invocazione scivola nella mia vita ordinaria, ne stimola gli impulsi, al destino sostituisce un presente ancora più concentrato e intenso del sogno e dell'immaginazione. La mia percezione puntiforme deve sentirsi sazia e appagata, solo allora la sua dimensione fisiologica normalmente ipertrofica si riduce e non ostacola la concentrazione. Il riassorbimento si estingue ogniqualvolta un nodo sia sciolto, una bocca affamata sia saziata. Il riassorbimento del riassorbimento giace in una fisiologia che mi dà i brividi. A volte posso accedere a un tipo di comunicazione che non ha bisogno di alcun artefatto umano, di nessuna parola, di nessun gesto calcolato per essere eseguito; posso trovarmi ovunque, l'accesso è disponibile anche durante il sogno. Si tratta di una comunicazione che mi è resa possibile da una particolarmente intensa volontà di non riferire niente di quel che vivo e percepisco a me stesso e dal percepire come le innumerevoli entità che percepisco sia come individualità puntiforme che come manifestazione in movimento tra riassorbimento e individualità stiano insieme (unite ma non proprio) in un fluire comune, non unico, non localizzabile. Quel che percepisco come fluire comune può generare immagini, suoni, umori, sentimenti, realtà organiche che è abbastanza semplice non legare automaticamente a me stesso e lasciarle andare nel flusso. Questa particolare comunicazione non è nè fisica nè mentale. La volontà di essere in quel flusso, di essere quel flusso, di partecipare alla inesprimibile sensatezza di quel flusso è comunicazione fin quando è possibile sostenerla senza desideri di controllo, comprensione individuale, trattenerne per me un qualche potere da utilizzare nella vita ordinaria. Quel flusso è la fonte della comunicazione che io avverto come mia volontà, quel flusso è incessante comunicazione di unità e intensa vitalità. Per me è sempre sorprendente percepire come in quel comunicare le emozioni, il pensiero, il corpo, i sentimenti, la sensatezza che avverto, generino (si fondano in) una quantità di volumi-pressioni organici e non organici in cui tutto sembra fluire per unirsi senza mai annichilirsi. Io, come entità individuale che si percepisce in modo puntiforme, mi trovo accanto a queste inafferrabili pressioni voluminose, organiche, ventose, luminose o anche completamente cieche e sorde, senza tatto. Spesso si ha la presenza di pressioni non direzionali, non localizzabili in alcun tipo di contatto. Eppure la comunicazione avviene senza opposizione, con grande intensità e certezza. Non voglio possedere il mio fare, non voglio prepotentemente prendere le cose, le emozioni e i pensieri, per farle mie e da quel possesso comunicare. Non sarebbe <<comunicare>>. Sarebbe una pretesa di comunicazione, non ancora vera prepotenza contro gli altri ma sarebbe già una comunicazione contenente elementi di forzatura inaccettabili per me. La comunicazione che mi interessa non può contenere alcuna forma di forzatura esercitata e creata da me. Non posso evitare di comunicare con strumenti ecologicamente disastrosi come i computer - con il loro uso non faccio che aumentare un demenziale utilizzo delle risorse naturali e ingrassare multinazionali ecc. -. Io non ho bisogno di esercitare per mia scelta forzature sugli altri esseri umani nè sull'ambiente per comunicare. Se lo facessi non sarebbe altro che la comunicazione del mio bisogno di possedere le mie emozioni, il mio pensiero, di non riuscire nemmeno a immaginare di lasciare esistere emozioni e pensieri come entità viventi liberamente dal mio volere. Non posso praticare la visione dell'arte secondo cui l'artista va incoraggiato nel suo talento di dar forma alle proprie angosce esistenziali poichè tramite quel dar forma si ottiene una sorta di liberazione personale e collettiva. Preferisco parlare in solitudine con gli spiriti che crearne di nuovi, agitarli. Sarà il procedere comune, a decidere se sia o non sia il momento che anche io possa comunicare nel visibile. <<Nel sole, nel sole, nel sole trovare l'amore, occhio sfuggente, il veneto di vetro, carne di plastica, avvolgo il mio carrello, il cuore, aperto nella neve del cuore, limatura del cielo, negli occhi, nel centro. Il mio turno è seminare, filtro nel terriccio radicate lamiere. Le callosità del collare, mandiboli sonanti cantano e offrono, per me tenue compagnia. Il suono è solo marino. Durevole nel cuore onnivoro, sasso di frantoio immobile tra i miei piedi. Il calore dell'estate in una serpe d'asfalto. Apro il passaggio con un nome impossibile, tocco ogni tratto d'aria sfuggente, sale l'acqua nelle fessure, le squame brillano, meraviglia di salmastro. E' una cascata di pelle. L'ascolto del cuore è un possesso formale. Dove io condivido il respiro di un rettile. Mattina inoltrata nel giardino di un cane. L'aria si muove,niente occhi, una vita appena. Il contatto è insopportabile. Un cuore stabile, un fiore nel cielo di metallo, un vortice di colore trema, tende la carne, è l'odore della vita, liquide gemme. Nel contatto il mio spazio cancella l'arrivo. Respingo la marea. Ignaro del sole. Il vento mi trattiene solido nell'amore, amante della polvere. La chioma di un albero nel mio cervello. Acqua dappertutto. Nel silenzio mi raccolgo, nelle foglie profumate dai sogni, calpestate dalla luce martellante. Il termine giusto è la fine, nelle mie parole l'amicizia è la corteccia che mi impedisce. L'alba è precoce.>> <<Nel parco raccolgo dell'aria migliore, capace di sollevarmi, sposare il mio petto alle chiome del salice. Una pressione innalza la terra di sole, nel cervello è la luce ad accogliermi nell'acqua salata, laguna ghiacciata, tenue, solare. La laguna nel corpo, fluido disciolto, sorpreso dalla quite. Sono già una macchina prodotta da un sogno d'amore. Nella meccanica la tempesta di vento riconosce i tralci fioriti, puntuali, lucenti-notturni, neanche un lutto passeggero o una esitazione, morbida gelatina raddensata nei canali, colmi di vita, ritardati dall'esplosione. Il corpo torna nel volere, calde pressioni entrano dappertutto. Se parlo cessano di nutrimi, appena il respiro del cielo può baciarmi, Una gioiosa, delicata vegetazione colonnizza il cervello, fiorisce nel petto, cola la sua rugiada tra le ginocchia, nel ventre, riscalda la notte che gonfia l'epidermide. Le mani riattivano la volontà, insolite amicizie esaltano le pulsazioni del mare, l'oceano non compare per così poco da offrire. Mi libero dei fiori impazziti, una nuova volontà disegna il mio dileguarmi, nient'altro che il mio sguardo per salutarmi. Una presenza illumina la folla di pressioni annidata nel petto, riposo nella mia nascita, all'incontrario dirigo una vita inospitale.>> Un certo tipo di volontà molto concentrata opera in un ambito, si rivolge a quell'ambito, privo di spazio e di tempo. Per via di questa volontà non localizzabile il riassorbimento può manifestarsi, perchè il riassorbimento è qualcosa che non ha nemmeno contatto con l'equilibrio nel corpo,il possesso del corpo,dei luoghi, degli amori, dei ricordi. Poi quella volontà si rivolge alle cose fisiche non percepite come localizzabili, alle mani, alla pelle, alle aree del cervello, al cuore, al ventre, alle ginocchia, le distacca dal loro funzionalismo, li usa per riattivare il riassorbimento, ma non solo. Il riassorbimento non giunge da solo e inaspettato. Lo incontro nei sogni, nelle emozioni, nei sentimenti, nel respiro. nei movimenti, nel contatto ordinario. La presenza del riassorbimento vivacizza l'invisibile, appaiono ovunque canali multicolori, ventagli di delicate, folte vegetazioni entrano nel mio corpo, da quello si diramano. Anche il cielo, lentamente, vien popolato da un articolarsi autonomo e leggero di canali-vegetazione; gruppi di canali compaiono e scompaiono, si raggruppano in matasse di momentanei organismi. Appena si esce efficacemente dalla percezione puntiforme, niente di ciò che si manifesta vive nello spazio e nel tempo. La conseguenza non logica della non localizzabilità delle manifestazioni è che in loro non vi è presente alcuna struttura. La loro manifestazione non è prevedibile, non viene condizionata dalla volontà personale, ma sicuramente è favorita da una intensa concentrazione impersonale - ammesso che queste ultime parole possano evocare qualcosa. Non esiste un percorso valido per tutti per raggiungere sia quella concentrazione sia quelle manifestazioni. Se ne può parlare, almeno posso capire di non essere l'unico a vivere certe vicende. Ma poi devo fare da solo. <<Il cervello nutre e muta il cervello, il cuore nutre e muta il cuore, il ventre nutre e muta il ventre, le ginocchia nutrono e mutano le ginocchia. Il cervello muta l'aria, l'aria muta il cuore, il cuore muta la luce, la luce dissolve le ginocchia nella fioritura del prato. Il cervelllo è una cascata di pulsazioni, il cuore aderisce al vento mentre genera l'aria, il ventre afferra le pressioni invisibili. Nel cervello bagliori appaiono e scompaiono. Il cervello immerge la natura nel cuore del cuore, l'apertura del petto odora di terra umida, di abbracci del mattino. L'epidermide suda, ondeggia, si gonfia vivace nell' oceano muscolare. Il contatto apre il mio corpo, vento-sabbia, valli invase da correnti silenziose, la libertà cancella i tratti del cielo, la casa è ingombra di detriti eppure le rughe del volto brillano di lacrime gioiose. Oggi il calore non scivola nel fiume, si stringe nel petto, accorre, nutre. Cancello il vortice con un'offerta. Nel silenzio dell'urbanità gli oggetti distaccano le mie radici. La pioggia rigurgita di alghe. Rettili eccittati invadono le ombre pomeridiane, i marciapiedi roventi crepitano d'insetti. Il sogno si rifiuta di precedermi. I cani mi accolgono nella sabbia marcita lungo i bordi del cantiere. Nelle mani il giorno, nella pelle la notte, nel vento cortecce di eucalipto, le seguo. Oggi il calore è felice, compresso, in attento ascolto dei corpi incompleti. La spinta finale parte dal petto, a poca distanza dalla luce il dramma abbandona la presa. Giorno dopo giorno la vegetazione mi avvolge, cancella, i pappagalli cantano a scroscio.>> <<La pace è qui, estranea al mio tempo, diffusa nelle ossa, profonda nella terra, morbida nei polpacci. Nel parco gli arbusti intensamente fioriscono. I vapori del primo mattino si depositano nel petto, I riflessi delle membra rigano il bagnasciuga, quaglie selvatiche setacciano la sabbia. Un ciuffo di piume brilla tra i fiori. La luce afferra la gola. Gioco col silenzio ma stento a trovarmi. Di slancio sollevo le braccia, sfioro l'instabile tessuto del cielo. Le mani catturano ombre amorose. Lo sguardo è immerso nella luce del sogno. Il suono delle ossa è caldo e benefico. Il parco diventa un fiume lento ed ospitale.>> La difficoltà e interminabile problematicità di agire in ambito culturale sta nella inevitabile azione che la cultura opera per essere riconoscibile a se stessa come cultura, ovvero attribuire a qualsiasi esperienza soggettiva un qualche tipo di valore ed esistenza oggettivo/a. Io che continuamente cerco di comunicare dimensioni iper-soggettive del mio percepire mi trovo ad essere ridimensionato in una oggettiva comunicazione di un oggettivato soggettivo percepire. (La comunicazione è implicitamente oggettivizzata per essere culturalmente comunicata.) La oggettivazione è la più subdola qualità del percepire. Non è la cultura a impormela ma sono io - come tutti- ad operarla sottoforma di automatismo fisiologico, questo lo sapevo già trent'anni fa. Ma se posso liberarmi facilmente dal mio percepire oggettivizzante non posso liberarmi dall'automatismo oggetivizzante dell'agire in ambito comunicativo con e dentro la cultura perchè la cultura è originata automaticamente dalla interiore capacità di oggettivare la percezione soggettiva. Se ciò che comunico come <<iper-soggettivo>> viene oggetivizzato percettivamente, esso diventa inutile rispetto alle mie intenzioni, diventa qualcos'altro a me estraneo. Ma non posso evitarlo e non voglio evitarlo. Non intendo criticare o polemizzare con le innumerevoli forme anche raffinatissime di oggettivazione della percezione di cui è composta la cultura. Ogni essere umano valuta e sceglie le proprie dinamiche, i propri automatismi - ovviamente parla uno che alla ipotesi dell'esistenza di una dinamica psicologica inconscia non crede. Valutazione e scelta non sono diritti ma sono semplicemente parti dell'essere vivi ed umani. Io non credo che sia un destino ineluttabile per me, come per chiunque altro, accettare di essere un oggetto anche per me stesso. So che senza l'oggetto non ci sono maestri nè saggi, che il linguaggio sopravvive anche senza oggettualità, e così pure l'amore e, perchè no, anche qualche indefinibile comunità umana. Nella percezione non oggettiva l'azione è sempre preceduta da qualche intensa sensazione di collegamento ed unione che trasforma la mia fisiologia individuale ed oggettivizzata in una fisiologia condivisa con e distribuita in quel che mi circonda. Non posso dire cosa significhi agire per tale fisiologia distribuita perchè quel significato andrebbe pronunciato da molte parole, o scritto da molte mani, contemporaneamente. Intanto evoco. Quelle molte parole e quelle molte mani comunque mi appaiono quando la percezione ordinaria e quella profonda ( dico profonda tanto per darle un nome) non si ostacolano e reciprocamente escludono. E non è che appaiono in chissà quale rarefatta sognante e pura dimensione, esse appaiono in e sono fatti delle stesse parole, immagini, sensazioni, pensieri che fino a un attimo prima non sembravano altro che ingombranti strumenti ordinari. Solo che ora funzionano in un altro modo. Non sono miei. E' come trovarsi in una fisiologia composta esattamente degli stessi pezzi di quella ordinaria ma completamente nuova, impersonale, ecc. Almeno così oggi mi pare. << Le parole sono già sia esperienza dall'interno sia percezione diretta. Le parole non sono sempre esperienza diretta, non lo sono per tutti. Le esistenze in cui sono immerso possono DIVENTARE fonte di esperienze dirette e percezioni dirette, dipende dalle circostanze in cui questo DIVENTARE appare - io non cerco la causalità di quel DIVENTARE. Se qualcuno cerca un percorso di esperienza diretto utilizzabile da tutti o un qualche tipo di dinamica interiore condivisibile da tutti e da tutti accessibile cerca solo forme di autosuggestione e, aggiungo, quel qualcuno cerca-trova potere e terrore. In realtà ciò che è adatto a me non lo è per te e viceversa. Eppure possiamo comunicare, perdere le nostre identità, amare. La mia percezione ordinaria è un impulso esterno alla mia quotidianità e crea la mia fisiologia, la emozionalità della mia fisiologia, la sua psicologia, il percepire delle fisiologia nel quotidiano. La vita e la morte fisiologiche sono una conseguenza della percezione ordinaria, se quest'ultima varia il proprio manifestarsi la mia fisiologia muta, vita e morte non avvengono, io scompaio. La creatività della percezione ordinaria è automatica, essa mi genera, lo vedo, ma non posso interromperla. La percezione ordinaria interrompe il proprio automatismo e si collega e riassorbe con, in, molto altro. La percezione ordinaria è, dal punto di vista della regolarità della mia quotidianità, discontinua, ma se accetto di non esserci come individualità anch'io posso essere al tempo stesso creativo-automatico e in riassorbimento. Io non accetto di essere privo di individualità nè col pensiero nè con la fede. La mia accettazione dipende dalle circostanze in cui essa si manifesta. Le circostanze di cui parlo riguardano solo me e in particolare sono strettamente collegate al mio modo di avvertire l'esistenza come una compresenza di pressioni-impulsi che per lo più avverto come intensità scarsamente descrivibili, ma tutte collegate a fenomeni di riassorbimento e collegamento intensivo ben oltre le possibilità della mia fisiologia quotidiana. La mia fisiologia è persa, semmai dovrei parlare di una fisiologia condivisa ad alta valenza unificante tra me e quel che mi circonda. Della fisiologia condivisa fan parte non solo le mie membra, la mia mente, il cuore,ecc, ma anche l'ambiente urbano che mi circonda, con il suo inquinamento asfissiante, i suoi marciapiedi diroccati, i suoi rumori assordanti, le macchine che scorazzano in casa e per le strade, i miei simili, la luna, stelle, numerosi spiriti invisibili e via dicendo. La fisiologia ad alta valenza unificante sprigiona una intensità impressionante e questo può accadere per strada, mentre corro, mentre soffro nel traffico e, ovviamente, quando mi contorco negli asana. Quella intensità mi unisce all'esistente, ambiente urbano compreso, in modo molto particolare. Sto inventando la ruota. ma che piacere farlo. >> <<L'aria rende ospitale i propri passaggi. Il rumore irrompe nella luce, mani di vetro si appoggiano alla mia schiena. Sono arrivati per rimanere, inconsapevoli, pieni di fiori, levigati dal vento. Lentamente, la città si psegne nel cuore. cerco di mangiare, il terreno di casa è ancora fertile. Sono certo che apprezzerò la loro amicizia, altrimenti finiranno per amarmi. Il biancore del cielo cola sul cibo. Dormo nel parco, voglio chiamarli col cuore muto. C'è il suono, non li posso trattenere. A stento il sole completa l'azione. Li invito. Le loro mani scivolano lungo i pilastri sbrecciati. Un promontorio carnoso cancella la casa. Per alcuni di loro è la dimora, vedono già fiorire il tramonto. Non agisco, l'acqua scorre avvolta nei miei abbracci.>> <<I rami degli alberi entrano nel mio corpo diventato gelatinoso e morbido. Poi mi sollevano. I rami, gli alberi, io stesso, ruotiamo, pur rimanendo fermi e lontani in un'altra visionme, la stessa. Mentre ruotiamo ci consumiamo. L'intensità cresce enormemente, riassorbimento naturale. Spesso è così. Il mio vedere si è spostato al di fuori dello stato di veglia e non ha a che fare direttamente con gli occhi e il cervello. Ma io mi trovo anche nello stato di veglia. Lo stato di veglia e gli stati diversi dallo stato di veglia sono uniti senza diventare un'unità. Il loro essere uniti si attiva naturalemente prima o poi. Gli stati diversi dalla veglia non sono stai ipnotici. Col colore del cielo il riposo è interrotto. Il nuovo viene sempre preferito, riconosciuto. Il flusso impetuoso, leggero, quasi una fantasia, mi ha spinto al di fuori del tempo. Un respiro luminoso avanza con prudenza tra le foglie. L'aria oggi cancella le parole. L'alba crolla nella coscienza. Il petto periste nelle maree. I miei pensieri temono i miei occhi. La gioa nello scambio. Posso anche resistere alla pioggia, sdraiato nell'aiula della menta. Il gioco qui mi capovolge. Una cascata d'acqua al posto dei cuori.>> <<L'aria,lasciata ristagnare, mi conduce alla pace, tra le speranze, nel silenzio della mia gioventù. La bruma offussca il cielo, calore insolito, avvolgente. Turbolenze nella siepe. Un fiore, sul ciglio del torrente, guarda e mastica. Terra polverosa, richiami, i fischi divertiti del vento mattutino. Sogno la mia vita che emetto. Inciampo nei loro sorrisi. Cortecce ammucchiate dal vento. Suoni irriconoscibili, amore. La mattina balliamo. Cadiamo tra i nostri sorrisi, saluti interni. Tendaggi ariosi si sollevano, scoprono le stelle incastonate nei loro corpi. Tra le ginocchia il mare brulica di colori. [Il contatto mi accoglie, in continuazione. Anche senza un ego posso ancora dire <<io>> e posso parlare. E il volere è la mia fatica perchè scopro che l'intensità è piena di sapori, emozioni,intenzioni. Il riassorbimento è estremamente attivo e io posso ancora dire <<io>> quando il petto si apre, quando il centro del cuore prende l'iniziativa. Dove alcuni vedono l'anima io vedo il mio corpo trasparente, il mio petto [amore, emozionalità] spalancarsi, diventare autonomo, brillare, sembrare un luogo di contatto. All'inizio era sorprendente scoprirmi costituito della stessa sostanza del sogno, poi ho scoperto che nel sogno le modificazioni sono estremamente profonde e, soprattutto, non esiste inerzia e non esiste contraddizione anche se la mia responsabilità, nel sogno, è massima.]>> <<Le mani afferrano una vita inesistente. Mi concentro per ristabilire il mare. Il rumore della luce è la mia sveglia. Il gelo ascolta. Il sogno è quest'aria che annulla il (mio) peso, promette ma non rivela. Lo slancio del sonno mi cancella. Il sogno emerge, dona, ascolta, insulta la prepotenza, ama. Nuvole adorne di spiriti bisbigliano. Molti testimoni, ancora troppi personaggi. L'intreccio degli alberi rinforza la speranza, mi unisco ai loro cuori, Il bosco sogna la realtà, la precede, il suo dissolversi diventa il mio senza che io capisca. Le mani pressate nella terra, il parco ruota attorno alla presa salda, spiriti delicati mi spingono nella gelatina solare. Non a torto le voci mi promettono sorrisi. [I miei sensi sono andati oltre la veglia laddove non esiste differenza tra sogno è realtà. La città è asfissiante come sempre, eppure la città col suo carico di spiriti doloranti è immersa in una visione molto leggera, brillante, estremamente vivace. Di tutto ciò non esiste nessun segno tangibile nella veglia, a parte lasciare, addirittura volere, che i sensi fluttuino al di fuori della veglia durante lo stesso stato di veglia. Mi dispiace per il mio EGO, instancabile controllore, ma i miei sensi lo precedono, addirittura lo costruiscono. La veglia è la sola dimora possibile per il mio EGO, i miei sensi fluiscono ovunque. Ma l' <<ovunque>> non creato dall'EGO vive non vincolato dalle leggi fisiche,religiose, non è esaltazione, semmai è ...... pace.>> <<La stanchezza mi ha spinto nell'acqua bassa. Mi devo vincere, saltare nell'acqua estiva. Improvviso star bene. La speranza parla nella tempesta. Di mattina posso accogliere. La tempesta di insetti tuona. Un angolo intimo, domestico, delimitato da segni di gesso. La tempesta si avvicina alla terrazza malmessa. Respiro con loro, desidero un abbraccio. Ho accolto il segnale, stringo i denti, I cani abbaiano per l'eccessiva vicinanza. Evviva! Siamo di nuovo insieme! Il pensiero non ha mai avuto alcuna parte. Erano lì, davanti a me, dentro di me, erano me. Nessuno stupore. Nessuna indagine. Senza non sarei stato io. Con loro eravamo insieme. I libri mentivano sul loro conto. Chi ne scriveva non li aveva conosciuti. Nudi,liberi,inospitali, [memorie- versati nella corsa, nella lotta solare perchè incorporei,] accorti nei tumulti della coscienza, semplificati per meglio sfuggire dalle reti. I vivi straparlano, i morti urlano, gli altri scalpitano, la sera in pizzeria, insieme, appiccicati nello stesso sudore. Alla fine qualcuno deve pagare il conto. L'amore viene dopo.>> <<Gli automatismi ad un certo punto si connettono con ciò da cui isolano, diventa presente una certa attività di adesione a ciò da cui veniva creato isolamento. A questo punto la vita, la morte, il respiro, il ciclo della fame/sete, non avvengono più. Le attività compaiono senza essere legate alla regola della soggetività-oggettività. Esse sono presenti come intensità e appaiono come modulazioni della intensità. Il senso di << modulazione dell'intensità >> non può essere spiegato, non posso dire chi ne sia il soggetto. La stessa realtà ordinaria è intensità anche se viene percepita ora come soggetto, ora come soggetto, ora come assente-debole, oppure presente, in aumento ecc. Lo stesso modo-in-cui-si-percepisce è intensità. Io posso facilitare il riconoscimento della mia esistenza e percezione come intensità, ma non posso determinare le modulazioni dell'intensità, la sua vita, il suo aumentare e tutte le apparenti mie trasformazioni che ne conseguono. <<Facilitare il riconoscimento della percezione >> non vuol dire, per me, essere un religioso. Non è un'opera di purificazione, ascesi, anche se ha molto a che fare con percorsi in parte simili allo hatha-yoga. Il problema linguistico che sembra inevitabile nel parlare delle trasformazioni tanto profonde e radicali quanto naturali dell'esistente è che, prima o poi per parlarne, mi trovo obbligato a nominare un unico soggetto-oggetto che fa tutto e che sembra essere dappertutto. Non sono certo il primo a vedere e segnalare questo problema. Da parte mia ci tengo a dire che questo problema linguistico non ha niente a che fare con la presenza di un Assoluto, di un Dio, di una metafisica. Il problema linguistico è effettivamente inevitabile poichè voglio parlare di qualcosa che è presente anche nelle parole ma in modo silenzioso e non articolabile in parole, la parola non indica nient'altro che la presenza di una manifestazione di cui la parola è un elemento abbastanza marginale, la parola è parte di una dinamica non limitabile dall'uso delle parole. La manifestazione ( la manifestazione è una modulazione dell'intensità ) dipende da chi-cosa vi si trova coinvolto, e chi vi si trova coinvolto è la stessa manifestazione, anche se di questa circolarità non se ne ha normalmente percezione. Nella stessa dinamica non limitabile dalla parola sono coinvolte anche la mente, il corpo, l'emozionalità. La dinamica di cui parlo è una modulazione della intensità. (Il senso di << modulazione dell'intensità >> non può essere spiegato, non posso dire chi ne sia il soggetto.) Se facilito la modulazione della intensità, essendo io stesso intensità, altre modulazioni hanno luogo. Non posso determinare in che modo io , in quanto intensità, possa mutare la modulazione della stessa identità. La modulazione è qualcosa che avviene. Nessun desiderio e nessun pensiero è appropriato nei riguardi della intensità e delle sue modulazioni.>> <<Fuori, verso di me. Ho smarrito chi li ha generati. L'arrivo tra molte voci. L'acqua inonda l'acqua. Il sole mi illumina, nudo, stretto alla pietra. Il mare in me. Senza precederli nasco. Tra i vostri piedi lo slancio. Cataste di sale tra le dune. Sono dalla loro parte. Le braccia avvolte dal sudore. Le mani traggono l'appartenenza. Il cielo sboccia nei campi estivi, innevati, senza luce. Vengo accolto, mi volevano. Arretrato nelle ore dimenticate. Forse è per questo che ne esco. La roccia è bagnata, un odore di fresca umidità, l'apertura fra i cunicoli in penombra. Cascata di silenzio, scintille, labbra, mani. Risaie stagnanti in tramonti senza tempo. Acqua lenta, serpi, insetti. Esco anch'io tra gli spiriti. Distesa di braci fra gli scogli. Una vita di amicizia, nella notte con le ginocchia doloranti. La mattina nella doccia affollata. il collo stretto dalle loro mani. Il mio è un altro. Chiedo scusa. Devo. Freddo, amore. Seduti nel cortile.>> <<Paesaggi incolori, ascolti, ritardi. Abbracci del momento. Il calore della pelle nell'aria. Ora: niente, neanche di me. Nel petto, nelle ossa, affondo con leggeri fremiti. Nell'acqua le ginocchia avvinghiate ai fiori. Dalle inguini l'uscita, le membra dello spazio. Un sostegno costante nel vento. la vita apre all'azione. L'appoggio nel cuore. Il luogo di raccolta nel cuore. La pelle tinta di cielo. Avvolto nei sorrisi del bosco. Molti animali ammassati nella polvere. Il sole. Sono sazi della vita. Concentrati- la concentrazione come unica compagnia. Organi di un'emozione. Riproduco la mia vita. Affamato perchè sempre nel loro cielo. Resto al caldo nel cuore esterno. Non li lascio più scappare. I cuori scivolano dalla loro parte, non solo gli abbracci. Accade. Anch'io tra di noi.>> <<Nella percezione ordinaria emerge una minima parte del mio corpo. Ciò che di esso resta invisibile può con gran fatica,molta fortuna, lentamente, diventare percepibile, completamente attivo. La distinzione fra corpo, mente, anima, organi di senso e le stesse aree funzionali del corpo indicate dalla scienza sono una conseguenza della percezione limitatissima che io ho del corpo. Non esistono le parti di un corpo ma una unica entità-corpo che per motivi molto difficili da percepire vive più stati percettivi allo stesso momento, non solo, molti di quegli stati percettivi non hanno la percezione dell'esistenza e dell'agire degli altri stati percettivi. Inoltre ogni stato percettivo costruisce la propria illusione materica e psicologica e quindi, la entità-corpo vive nello stesso momento in una gran quantità di stati percettivi e fisici diversi. L'intensità e il riassorbimento all'interno della entità-corpo, ammesso che sia lecito parlare di un interno, non si manifestano allo stesso modo. La tranquillità, la pace, l'amore, la pressione, la concentrazione sono alcune delle correnti che mi permettono di percepire tutte le attività della entità-corpo. Più mi diventano manifeste le diverse attività della entità-corpo, meno mi diventa manifesto il mio io percettivo ordinario come qualcosa di ordinario. La molteplicità delle attività percettive della entità-corpo è un concetto che esiste solo per l'io ordinario. Nella realtà della entità-corpo quella molteplicità non c'è, non si trova da nessuna parte. Al progressivo aumento del manifestarsi delle attività della entità-corpo, l'io percettivo ordinario viene sostituito da una oscillante manifestazione di intensità che non cancella le singole manifestazioni percettive ma le colloca nella realtà come qualcosa di intenso e profondamente trasformativo e non come singolarità simili alla individualità ordinaria. La presenza di qualche manifestazione della intensità indica sempre che si agisce allo stesso momento sia al di fuori della percezione sia all'interno di percezioni di diversa natura. La complessità delle manifestazioni della intensità è ben superiore alla possibilità di gestione della mia individualità. Le manifestazioni della intensità mi appaiono prive di leggi fisiche e prive di storia, non sono beni socializzabili. L'intensità mi conduce a percepire la non coincidenza fra la realtà fisica e psicologica che genera il mio io ordinario e quella non generata dal mio io ordinario ma che eppure si manifesta:l'intensità può interrompere la prima ma non interferisce con la seconda ed è così che scopro, con non poco stupore, in che modo profondo il mio corpo, la mia mente, non siano miei. A questo punto la mia entità-corpo ondeggia in una esistenza estranea alla mia individualità. Ciò che si manifesta nella percezione ordinaria e che non sembra provenire da qualche parte della mia entità-corpo sembra scaturire da un <<esterno>> che confluisce nella intensità perchè l'intensità mi sembra essere uno pseudo-organismo la cui natura è anticipare l'esistente, annullare l'esistente senza cancellarne le distinzioni. Tutto ciò per dire che all'aumentare della mia concentrazione, il mio corpo sembra concretamente sviluppare mille altri corpi che appaiono, vivi, attivi, mi trovo a vivere, fare yoga, pensare, amare, con parti di me che non sapevo nemmeno di avere, con estrema naturalità mi trovo a mio agio a non essere me stesso, ma ad essere in parte albero, aria, cane, essere gli incubi che mi trasmettono altri esseri umani e non umani, essere cibo. Mi trovo a mio agio, anche se è evidente che non si tratta di me, io mi ci ritrovo. Niente di spettacolare. E comunque continuo anche a passeggiare per queste vie urbane, a respirarne con sofferenza i veleni: vivere contemporaneamente fra più livelli di diversa percezione e intensità non alleggerisce minimamente il carico percettivo ed emozionale del singolo livello, lo tranquillizza in modo molto particolare, appagante.>> <<L'ombra della corteccia è interrotta dalla luce dell'alba. Nel tronco, una rientranza apre un pozzo venoso. La corteccia si arriccia nei suoi solchi. Le foglie gonfiano la chioma, assorbono il mio cuore, modellano una loro immagine - l'interno, assorbimento di terra. Tra i rami le foglie ammassano mucillagine. Filamenti luminosi striano qualcosa di secco. In alto, oltre la terra ricoperta di alghe, l'albero nutre il cielo. L'intreccio dei rami è affollato da squame, piume, peli di topi campagnoli. Le radici squotono l'aria nei corpi degli animali; dai loro abissi di cristallo chiedono amori ai rettili notturni. Nell'albero il caldo torrido sedimenta resine. Ghiaia profumata. La luce è quel che ne esce. Dopo sta sempre tra i piedi. Le braccia libere, bagnate. Illuminato dai colori. Mi vedevano impacciato. Ora respiro tra le loro bocche.>> <<Quando il mio fare cessa la mia vita resta nelle mani delle circostanze come è stato del resto prima dell'emergere del mio impulso-IO. Le circostanze fanno e rifanno ripetutamente il mio impulso-IO. Quando le circostanze cessano di fare mi trovo fuori dello stato di veglia e non sono più io. A parte l'entusiasmo che si sprigiona, i fiori proiettano le loro forme e quelle trasformano la chimica e la fisica dello stato della veglia. Le circostanza non sono onnipresenti ma sono onnipotenti. Se Io divento estraneo al desiderio di potere, il potere delle circostanze non oscura più la percezione ordinaria. Se fossi cieco sin dalla nascita non vedrei fiori, sarei concentrato nelle pressioni meravigliose di cui avverto la presenza dentro e fuori di me. Mentre i fiori-pressioni modificano lo stato di veglia rendendo anche la percezione ordinaria capace di distinguere l'illusorietà della sensazione di concretezza propria della realtà ordinaria, nell' invisibile si manifestano presenze voluminose costituite da infiniti micro-presenze estremamente intense, vive. Quelle voluminose macro-micro presenze avvolgono, sempre nell'invisibile, anche il mondo della percezione ordinaria. I fiori e i volumi e le pressioni si muovono in modo avvolgente e tranquillo. Con la lenta trasformazione della chimica e fisica della realtà ordinaria, l'entusiasmo, provocato inizialmente dall'apparire dei fiori e dal successivo o contemporaneo manifestarsi di presenze nell'invisibile, cessa quasi del tutto, ma la concentrazione e l'intensità e le trasformazioni associate ai fiori, pressioni, volumi, movimenti avvolgenti, aumentano, diventano sempre più chiarì e pieni di senso. In questo luogo non posso arrivare con intenzioni ostili o violente. I fiori, le pressioni, i volumi ecc, non esistono ma agiscono. Essi sono la presenza della intensità.>> <<Per me la normalità è il modo di percepire che induce a comportarsi come se davvero esistesse un soggetto e un oggetto o come se davvero esistesse anche solo per un attimo la possibilità di esistenza di una individuazione-individidualità o di qualche processo collettivo individuabile. Per capire e percepire l'esistenza non posso creare differenze reali. Le differenze reali le vedo agire in continuazione, eccone alcuni azioni: i migranti condannati al loro destino di morte ed emigrazione forzata, levare la vita e la libertà a qualsiasi essere per motivi non strettamente legati a bisogni alimentari, distruggere anche una sola foglia di questo pianeta per costruire il benchè minimo artefatto non strettamente necessario, credere che il pensiero fondato sull'esistenza di un soggetto e di un oggetto possa essere d'aiuto per capire le <<leggi dell'universo>>, produrre una tecnologia che per esistere deve sempre distruggere qualcosa del pianeta terra, provare piacere e interesse per il possesso di cose e organizzare la comunità umana in relazione a quel piacere e interesse, provare piacere e interesse nel controllo delle emozioni e della intimità degli altri e organizzare la comunità umana in relazione a quel piacere e interesse, continuare a dividere le attività umane fra intellettuali e fisiche, credere di avere un corpo separato da quello degli altri, credere che davvero esista la possibilità di dire <<io>> e basta, senza percepire che io è solo la declinazione di un impulso trasmesso tramite il-tu-lei-noi-voi-loro- ecc. La normalità di cui sto parlando è parte della natura, non è un nemico da cui difendermi ma neanche un amico da amare e di cui cercare la vicinanza. Me ne sto da parte e mi lascio collassare nel profondo della natura dove è evidente che non esiste la benchè minima differenza tra il mio stomaco e quello degli altri, anzi il mio stomaco non è affatto mio e vortica attento in quella grande amorevole epidermide che viene normalmente chiamata spazio. Nella natura non mi appartengo nè alcun essere appartiene nè a sè stesso nè ad altri. L'opulenza delle cose della società in cui vivo è un sentimento ostile, addirittura creativo. mi guarda, mi fissa, mi aggredisce ovunque e, infine, mi crea e mi mette qui davanti a questa tastiera a scrivere. Il pudore per la sofferenza che infligge la naturale ostilità umana, il pudore per la sofferenza che produce la ordinaria, naturale, percezione umana, mi hanno condotto a un silenzio e ad un agire di cui ben poco si vede. I sentimenti ostili si sciolgono nel non visto ed è questa la difficoltà dell'amore, del suo riconoscimento. Le persone se stanno le une vicino alle altre, è solo perchè sono in una naturale attesa che il riconoscimento dell'amore avvenga. (Questo avviene in ogni istante in un luogo dove la vita e la morte non esercitano la loro illusoria influenza.) Ciò che ni rende intenso è qualcosa di molto simile all'amore, ciò che mi genera nella percezione ordinaria è l'enorme quantità di sentimenti ostili a me circostanti e io sono, come molti, un figlio delle circostanze.>> <<Le foglie chiuse dal mio corpo, un grappolo di salsedine, pioggia nei rami, nel vento, nei fiori del mattino. Oggi mi ignorano dall'interno, assorbono le terre affamate di alghe. In alto gli alberi scivolano nel cuore, la chioma lo gonfia, il cielo imbeve la corteccia,i solchi. Dentro la mia schiena partorisco. I giardini si affollano, aperti alla polvere. I lacci dell'edera brillano di cera, diamanti, le vene sono oscure, feconde amiche. Il bisogno del vento diventa una muta invocazione. Attorno luce, pace, entusiasmo. Ora la folla si rifugia nel petto. La folla in silenzio si stringe al mio cuore fiorito, dispersa dai nativi,frenetica e libera, anticipata dai torrenti alpini. L'ombra ricopre le parole, un intuito per le iscrizioni, il risucchio degli spiriti, la loro grafia. Stamattina sono entrato nella serra. Mi hanno trovato. Incontro a due colonne, nel colore, nel contatto, nel disegno vivo, in quello morto. Sono investito dalla cenere dell'aria urbana. la fine mi avanza, sempre uscendo dal cielo. Sono ospitale con le membra degli spiriti, sorrisi attorno, grappoli di nudità sudate. Sono distolto dalla sua permanenza, lui, il mio corpo. è lì per quello, è per lui, e lei, che decido e non credo. Con sincera intensità mi risale tra le costole, piena di affetto, saliva solare, epidermidi ripetute. Germoglio tra di loro, devoto, assiduo, sudato, anni di coraggio. Mangio il calore notturno, ripetuti germogli dal petto.>> <<Le braccia si sono fatte. Loro la strada. Gli spiriti. Gli insetti tortuosi. I volti ricoperti di schiuma. L'illusione che nutre. Le mani aprono. L'involucro sbatte nel petto, il vento lo attraversa. Sbattitura interra. Gli spiriti mangiano il velo. Senza più spazio nudo nel cuore del cuore. Nel sogno del sogno la vista mi acceca. Cuore grosso mani dure frane incolori composto comporre. Tremante, ombra, godimento. Senza cielo ma con slancio intero. Furia manipolare, cuore nel seno, molte mani terminate nell' incanale. Sfacciato e nudo, fuori di me, spiriti fra le braccia, sempre quelli escono per primi. Nella notte io cieco e senza corpo flesso dal canale condotto-oltremondo. Animali e spiriti e polvere fermi e morbidi contro le aperture del vento, alla larga, fuori, balzi contro il luce. Resto nel corpo per trovare. Epidermidi mangiano tra le assi, canali incompleti, rapide le mani girano trovar-intensi-lanci è perder sempre il proprio nutrimento. Allora vivono tra le vertebre incastonati fiori miei di me. Indugia, la mattina, la brezza, fuori dalla fioritura i tenui, infossato dalla gioia espande intenso, eserciti solari. Il racconto del solco marino ripetuto. Cuoce nel corpo, a suo modo svelato nella congiunzione di spiriti, spiriti e carne, spiriti e aria, spiriti e nulla, la voce naturale dell'orgasmo e il mio-tuo-suo-loro-guarigione. La sacralità dell'emozione. Luce anticipata dal premermi nei sudori fortemente indotti e voluti. Gli spiriti spingono nei canali, oceani-spiriti attratti nel calore <<perchè-tutti-possano-sentireavere>> alla fine il cuore il cuore, un liuto, un suono per il sordo intimo bacio, fra le costole serrato, felice magrezza, opulenza nello svanire, compensato da, e tutti noi.>> <<In tutte le numerose tipologie dello yoga ame note, l'emozionalità umana, è definita come impura, qualcosa da controllare, eliminare, sin dai primi passi del cammino yogico. Per me lo yoga è anche qualcos'altro che una religione anche se da millenni si cerca di ricondurlo esclusivamente a una struttura religiosa classica secondo la quale andrebbe bene introdurre anche nello yoga la purtroppo abituale, in senso religioso, isteria anti-emozione. Mi scuso per quanto detto e per quanto dirò con i praticanti religiosi dello yoga, non è mia intenzione nè offendere una religione al cui interno ho trovato spunti di enorme interesse, nè aggiungere al corpus dello yoga qualcosa di nuovo nella stupida pretesa di aver scoperto qualcosa di cui nessuno abbia mai prima di me scritto, parlato, praticato. Per me il nucleo fondamentale dello yoga sono gli asana,le tecniche di meditazione,le tecniche respiratorie. L'insieme di questi tre elementi è destinato agli esseri umani cui propone una modalità estremamente articolata e varia per conoscere l'essere umano nei suoi più intimi e profondi dettagli. Le profondità cui si arriva con lo yoga aiutano a vincere qualsiasi paura ma quelle profondità non sono accessibili a chi nasconde dietro radicate paure personali e sociali potenti pregiudizi e false intuizioni. Per le profondità dello yoga non esiste una emozione pura o impura ma esiste solo ciò di cui si ha una percezione completa o ciò di cui si ha una percezione incompleta. Nello yoga tradizionale le tecniche suddette servono a ottenere il controllo della mente e dell'EGO e neutralizzare le emozioni al fine di unirsi all'Assoluto. L'intento dello yoga tradizionale è di concentrarsi tramite le suddette tecniche sul disvelamento della natura dell'EGO come <<centro di attività>> ovvero come interconnessione di <<chakra>> e mostra come tale disvelamento possa mutare la natura umana ordinaria nell'Assoluto. Stranamente nello Yoga Tradizionale non si fa una sola parola sul fatto che PROPRIO tramite l'utilizzo delle sue tecniche respiratorie, mentali e la pratica degli asana, oltre a ridimensionare e placare l'attività comunque naturale dell'EGO, si permette alle emozioni di manifestarsi per quel che sono, ovvero veri e propri spiriti attivi. A questi spiriti l'EGO è in molteplici modi connesso e con loro costituisce quella condizione percettiva indicata dalla parola <<persona>>. L' EGO, la rete-involucro costituita dei suoi <<chakra>>, è uno spirito lui stesso. Tutti gli spiriti sono dotati di centri di attività, <<chakra>>, tutti gli spiriti sono tra di loro connessi-uniti in una complessità semplicemente non pensabile, nè rappresentabile, almeno per me. Ma ci tengo a tornare alla fisiologia ordinaria che in me esperimento ogni giorno per dire che non posso capire e diventare in profondità le mie emozioni, i miei ormoni che sembrano suscitarle, le mie ghiandole, le mie ossa, le mie cellule, se non sento nell'intimo il loro non essere <<EGO>> e piuttosto essere spiriti in qualche modo diversi e liberi dallo spirito dell'EGO stesso. Per me <<diventare i miei spiriti>> significa risvegliare gli spiriti tra gli spiriti, da quel risveglio si espande un incredibile impulso. Ci sono molte altre tecniche per <<risvegliare gli spiriti tra gli spiriti>> oltre quelle dello yoga. Le mie uniche guide per <<risvegliare gli spiriti tra gli spiriti>> sono la presenza dell'amore e di una fisiologia priva di segreti.>> <<Per non essere scambiato per un appassionato di spiritismo sostituisco alla parola <<spirito>> la parola <<involucro>>. Ecco quel che succede. Non corpi, non fisiologie, ma solo involucri, aggregati di involucri, scorrere di involucri, pressioni e intensità ma comunque involucri, oltre la carne, oltre il corpo, la mente e l'anima, non resta che un amalgama di involucri, uno saldato alla manifestazione dell'altro ma nessuno che abbia cominciato per primo. Gli involucri si intensificano e ancora altri involucri compaiono ma comunque già erano lì. L'intensificazione, il riassorbimento, sono un segnale, una mutazione priva di verso e non generativa. Il punto di arrivo, per chiamarlo in qualche modo, è un involucro a loro preesistente. L'intensità, il riassorbimento è il modo di percepirsi di ciò che già esiste. Percepirsi, non percepirmi, è il mio modo d'essere come involucro, attraverso il percepirsi chi sta scrivendo queste parole, sta per sempre solo in queste stesse parole e cessa di disturbare il percepirsi degli involucri. Le connessioni tra involucri sono involucri loro stesse. L'energia è costituita da mandrie di involucri. La mia manifestazione è utilizzata come manifestazione propria da altri involucri semicoscienti in modalità percettive non troppo diverse dalla mia. Lo spazio e il tempo esistono per testimoniare a me la scarsa percezione caratteristica della percezione ordinaria. La discontinuità è il mondo della percezione ordinaria, la continuità è il mondo degli involucri privi di percezione. L'intensità, il riassorbimento, la concentrazione, la meditazione di altri, sono mezzi di trasporto per involucri che amano gli involucri, involucri che vogliono tornare ad accorgersi di essere involucri. E poi basta. Nient'altro appare. La natura è una cosa che avviene per gli involucri che non possono percepire d'essere involucri. Perchè questo succeda, non lo posso dire nè sapere nè sentire, strano ma mi si strozza in gola,lo dimentico e lo afferro e lo ridimentico. La memoria è il destino di coloro che come me involucri più non si percepiscono. Dico quel che oggi, poteva essere anche ieri, mi succede poichè la percezione ordinaria può essere raggiunta da segnali rivelatori e sempre meno ordinari: per strada molte persone hanno più teste di cui alcune a me note e familiari, persone montate a matrioska arrancano sotto il fardello del sole, alcuni loro strati sono felici, altri piccoli, tormentati, in punto di morte. I suoni hanno corpo e spesso schiacciano noi tutti con indecenti pressioni, l'aria è un gomitolo di alghe che digerisce negli stomaci di noi tutti, la terra desolata del parcheggio è una piattaforma di vegetazione in arrivo e partenza che esplode entusiasmi. Il mio involucro era loro ma a loro non gliene fregava niente e a me niente è rimasto. E tutto questo bla-bla si riassorbe e stramazza e ingerisce salutare intensità. Da questo punto di percezione-vista qualsiasi tentativo di genesi sembra una digestione andata di traverso. Mi cibo perchè non sento nell'intimo la pressione degli altri involucri, lo stesso fanno molti altri involucri NON COLPEVOLI. Non è cattiveria ma è interessante vedermi creare l'esigenza del cibo, per riempire la mia NON COLPEVOLE incapacità percettiva. La mia NON COLPEVOLE incapacità percettiva è il mio io, il mio involucro non è mio poichè l'involucro non usa aver alcuna proprietà. Passo ore a fare yoga, correre, disegnare, scrivere per rimettermi dal continuo malessere provocato dalla mia NON COLPEVOLE incapacità percettiva, per attivare a beneficio della mio limitato percepire, la manifestazione degli involucri.>> <<Nella percezione ordinaria, qualsiasi sofferenza mi trovi ad affrontare, la devo sopportare in modo che quando essa abbia termine io non abbia provocato alcun danno con la benchè minima reazione. Naturalmente vale sempre il buon senso, sto parlando di sofferenze gravi e di sofferenze meno gravi ma del tutto inevitabili così frequenti nella mia vita quotidiana. Anche il raggiungimento del mio piacere può essere dannoso per l'ambiente circostante. Preferisco non conseguire alcun piacere piuttosto che generare esseri e reazioni di dolore, interferenze. La mia reazione tanto alla sofferenza che al piacere, se interferisce con l'ambiente circostante e se diventa particolarmente intensa, genera la manifestazione di altri esseri che portano il segno del mio impulso. Essi, poi, a loro volta dovranno vivere la loro esistenza, delle loro azioni sarò anch'io responsabile: essi sono direttamente connessi al mio corpo oltre il falso limite della vita e della morte. Le circostanze, l'ambiente, l'agire irresponsabile di altri esseri, provoca la mia esistenza, i miei dolori, i miei piaceri. Io non voglio niente da loro, che facciano quello che devono e vogliono, io sto qui. All'aumento della mia concentrazione corrisponde una trasformazione dei miei automatismi: rivelano la loro origine extra-corporea, la loro fisiologia, spesso cessano di operare, rivelano il mio corpo stesso come qualcosa di non corporeo. Se la sofferenza diventa così intensa da impedire la concentrazione in ogni sua forma, soffro e aspetto, mi lascio trasformare dalla sofferenza in un aggregato di dolore. Il dolore poi passa o conduce alla morte, ma questa non è più la mia responsabilità e quel che è coinvolto dalla morte non è che la forma prodotta dalla percezione ordinaria. La mia priorità è concentrarmi su ciò che avverto come automatismo, che sia il mio stesso respiro o battito cardiaco poco importa. Mi concentro anche sul piacere per rivelarne le molteplici cause, gli esseri che mi costituiscono suscitandolo, per diventare ciò che il piacere è quando diventa altro dall'automatismo. Per me la differenza fra me e un'altra persona, un altro essere, una pianta o una cosa non sussiste, condividiamo lo stesso particolare corpo percettivo ordinario. Quando supero la differenza fra il mio corpo e quello degli altri entro in una dimensione di complessità estrema (adesione), una dimensione in cui la mia concentrazione deve essere molto attenta a osservare gli automatismi di tutti, deve essere molto attenta a non forzare il superamento dei suoi propri limiti percettivi. Come per la sofferenza, anche nel piacere, se la mia concentrazione è superata dall'intensità di ciò che sopravviene, non mi resta che vivere il piacere,sia che lo accetti sia che lo respinga. Non mi faccio illusioni, non sono che un aggregato di circostanze di cui ho una limitata percezione. Quando non riesco a cogliere l'automatismo di alcune circostanze mi accorgo che lasciarle manifestarsi è l'unico modo per percepire con maggior precisione il manifestarsi della circostanza specifica. Se ne colgo con precisione la manifestazione, la precisione è un primo apparire della mia concentrazione, allora è possibile disvelare l'automatismo della percezione ordinaria. Lasciare che una complessa circostanza si manifesti in me con tutto il suo carico di automatismi è qualcosa che so fare in modo naturale, non l'ho dovuto imparare. Io non rifiuto, non potrei, l'intensità fisica, emotiva, mentale, ecc., degli automatismi, ma in me è di gran lunga preponderante una intensa adesione non automatica agli esseri, adesione in cui l'agire delle circostanze si dissolve.>> <<Quando la mente si ferma per davvero, non solo non esisto più, ma sparisce la luce, la vista, il tatto, se ne vanno le mani, la gola, le ossa, un certo tipo di amore, e scompare l'emozione. Resta un immenso radicarsi. Cosa posso sembrare io stesso alle mie cellule, alle mie ossa, al mio fegato, al mio cuore? Sicuramente il loro mondo non è il mio, in particolare io non faccio parte, dal loro punto di vista, del loro mondo. Si espandono altrove, diversamente da quel che io faccio, non hanno mai fatto parte di me. Il riassorbimento non è che l'inizio, l'intensità, l'equilibrio nell'intensità, non sono che i passi iniziali di un ego individuale che cerca di cessare i propri automatismi. Io avverto, a volte letteralmente vedo, le mie personalità essere costituite nel cervello, per lo più esse sono incessantemente composte dalla mia ghiandola dell'ipofisi e dal cervelletto. (Molte posizioni dello hatha-yoga e praticamente tutto il Pranayama cercano proprio di ottenere la consapevolezza dell'esistenza e dell'uso della ghiandola dell'ipofisi e del cervelletto). L'apparire del mio ego individuale, quello che scrive e vive, scaturisce dalla produzione di alcune raffinate sostanze chimiche presenti all'interno del mio cervello. Purtroppo io riconosco il cervello, la ghiandola della ipofisi e le sostanze chimiche, solo al comparire della materia di cui sono fatto nello stato di veglia. Il mio ego individuale è parte di una immensa ramificazione. Come <<parte>> di quella ramificazione essa assume apparenze diverse a seconda delle ramificazioni dalla quale è attivata. L'apparenza è, anche se può sembrare incredibile, la mia realtà individuale, sociale, cosmica, chimica, fisica, almeno nello stato di veglia. Essere quella ramificazione non ha a che fare con l'essere nello stato di veglia: l'essere nello stato di veglia è un percepire in cui è ossessivamente coinvolto solo il mio ego. Vivo con intensità la mia giornata quotidiana poichè solo l'intensità trasforma i miei impegni quotidiani e sociali e il mio stato di veglia, creature del mio ego e del mio cervello, in apparizioni non automaticamente possedute dal mio ego, non più fornite di una valenza emotiva per me inevitabile, in apparizioni non più esistenti solo nello stato di veglia. Mantenermi in una condizione di esistenza non automatica mi permette di sostare in un equilibrio profondamente conoscitivo privo di oggettualità: la non-umanità non ha oggetto, non ha soggetto, non ha. Dopo molti anni ho capito che la mia insofferenza verso gli automatismi di cui è fatta la natura umana è piuttosto insolita anche se naturale. Sono nato così. Il mio essere umano, il mio essere nella natura, comincia con la mia insofferenza spontanea verso la mia stessa natura. Per me questa insofferenza inarrestabile dispone di una illimitata armonia. Alla ramificazione sottostante il mio ego-individualità non posso giungere tramite l'ego.Essa non appare mia, ha una presenza che incontro all'aumentare della intensità, quell'incontro conduce a radicali trasformazioni del mio ego senza che io cessi d'esistere. Fino a un certo punto l'intensità è una modulazione-dell'intensità e il-radicarsi è la lieve fisiologia di quella intensità. La modulazione dell'intensità, il suo radicarsi, tende a cancellare il mio ego-individuale provocando la realtà del riassorbimento e varie forme di estasi. La modulazione dell'intensità, il suo radicarsi, curano il mio ego, mutano lo stato di veglia. E tuttavia esiste un dopo: io vengo restituito agli automatismi, ma qualcosa di troppo profondo e trasformativo continua ad avvenire. Il mio stato di veglia proprio della vita quotidiana è molto più permeato dalla fisiologia dell'intensità. Il mio destino non appare più come qualcosa di ineluttabile, si è in parte unito in modo consapevole alla natura nella quale riesco a riconoscere sempre di più la presenza della fisiologia dell'intensità. Ma non è che l'inizio. In termini di tecnica della percezione io sto unendo il mio stato di veglia alla fisiologia dell'intensità. Questa unione progressiva mi porta a riconoscere una fisiologia indescrivibile di cui raramente è stata fatta menzione. Quel che dico in parte è presente nello Yoga e in molte religioni orientali ma, appunto, solo in parte. Io insisto sul fatto che solo se riesco a-vivere-e-a-farmi-vivere-dalla- fisiologia-dell'intensità in modo sempre più completo e profondo, gli automatismi della mia vita riveleranno il loro senso e la mia unione con la natura sarà completa, qualsiasi cosa questa unione implichi.>> <<Cosa intendo dirmi quando affermo che non voglio trattarmi come un oggetto, nè rivolgermi-a-me-stesso come a una sequenza di oggetti di cui il primo sono IO, poi Tu, poi LEI ecc. ? Mi voglio dire che IO non è un sapere, non è mio, non lo trovo nella memoria. Ma <<voglio dire>> non è un vero dire, è un percepire intenso, attivo, il cui agire si trova in una realtà compresente allo stato di veglia ma diversa dallo stato di veglia. La diversità, in questo caso, è inclusiva e non esclusiva, sono, quindi, in presenza dell'amore, del cuore. Certo, questa realtà intensificata non mi aiuta a pagare le bollette. Non è facile vivere in una stabile compresenza dello stato di veglia ordinario e dello stato di, tanto per dire, veglia intensiva, poichè nè l'intensità nè la compresenza si ottengono, piuttosto si manifestano come e quando la Natura, lo strano insieme di esistenze in cui vivo, le manifesta. Certo, io, in qualche modo solo a me peculiare, desidero agire in modo da essere il più simile e vicino alla natura, a quello strano insieme di.. Più la compresenza è stabile più avvengono profondi mutamenti percettivi, non c'è stato però, alcun bisogno di escludere nessuno dei miei oggetti percettivi dalla mia pratica quotidiana, non ho dovuto far ricorso ad alcuna pratica di rinunzia, nessuna esclusione emotiva, nessuna sofferenza fisicamente controllata. Io non agisco, se non mortalmente obbligato, mai in modo da generare veri e propri esseri, di solito invisibili, che sorgano come reazioni al mio agire. Se io rinunciassi, per dire, in parte alla mia sessualità o ad altri intimi desideri, con quella rinuncia creerei proprio l'oggetto rinuncia che non è solo un concetto ma soprattutto un essere terribile e ostile per gli altri oltreche per me. Ugualmente non posso amare <<tutti e tutto>> solo per agire in modo moralmente corretto, amare ciò che trovo offensivo e aggressivo creerebbe delle forme viventi veramente pessime, dalle quali mai mi liberei. Le forme aggressive non sono presenti nello stato di veglia intensificata, niente e nessuno che pratichi aggressività può accedervi. Qualsiasi forzatura della Natura, per quanto sia sicuramente integrabile nella Natura, allontana dalla percezione della Natura come qualcosa di diverso di una sequenza di oggetti,leggi, spiriti, o aggressività diffusa. La realtà ordinaria mi si capovolge dentro, le emozioni mi vogliono parlare, di me e della Natura, il corpo mi vuol parlare di me e della Natura, gli altri esseri mi vogliono parlare di me e della Natura. Mi vogliono parlare accedendo a me dallo stato di veglia ordinario e poi uscendo da me nello stato di veglia intensificato. la folla di presenza che mi circonda è spesso impressionante, è questa folla e il suo andirivieni che mi intensifica.>> <<So che devo sviluppare molti altri organi-canali-corpi per vivere con continuità, tranquillità e intensità al di fuori della percezione ordinaria. Al di fuori di quest'ultima l'intensità, intensificandosi, ben presto diventa i canali stessi, allora per me svanisce la percezione e si manifesta una presenza fisiologica estremamente complessa in cui la presenza è il suo stesso dissolvimento. Lo sviluppo di altri organi-canali-corpi è quel che mi permette di essere presente sia nella realtà ordinaria che nella fisiologia dei canali-intensità avvertendo una profonda continuità tra i due e molto altro. Tutte le tecniche di sviluppo della percezione umana elaborate negli ultimi millenni hanno l'obiettivo diretto o indiretto di sviluppare quegli organi-canali-corpi. Non esiste alcuna necessità per DOVER sviluppare la percezione ordinaria, avvertirne il bisogno non rende nessuna persona migliore di un'altra, avvertirne il bisogno in modo preciso e non come mascheramento di un proprio senso di inadeguatezza alla vita quotidiana o come fenomeno di moda è la premessa per cui questo bisogno poi mi serva davvero a qualcosa. Non credo che esista nessuna tecnica che possa suscitare questo bisogno, sempre che non si attribuisca alla psichedelia o alla religione tale capacità. La maggior parte delle tecniche di sviluppo della percezione ordinaria sono tecniche interne, ovvero sono basate su un VOLONTARIO processo di DISTACCO dalla realtà ordinaria esterna per sviluppare progressivamente una dimensione di profonda e ricca vitalità-intensità che comporti il sorgere di percezioni extracorporee con le quali essere in un rapporto di estrema naturalità. La maggior parte di quelle tecniche interne può anche essere intrapresa senza praticare alcun volontario processo di distacco dalla realtà esterna che altro non è che la realtà generata dalla percezione ordinaria. Inoltre l'utilizzo di tecniche per sviluppare la percezione ordinaria non è garanzia di alcun successo, quelle tecniche non fanno altro che tentare di intensificare manifestazioni in qualche modo già a loro preesistenti e accessibili anche in modo diretto a chi sente il bisogno di altro che l'ordinaria percezione. Tuttavia parte di quelle tecniche mi sono di grande utilità e penso che lo siano per molti altri che come me vivono o in ambiente urbano, o metropolitano o in strutture sociali basate sul potere e sul controllo anzichè sull'amore. La presenza della natura, con la sua enorme molteplicità di esseri viventi, presenze visibili e invisibili comprese, con la sua incessante diversità di manifestazioni, la presenza percepibile della luna e delle stelle, costituisce la più grande, spontanea e facilmente accessibile fonte di continuità percettiva extraordinaria, almeno per coloro che ne avvertono il bisogno. Per esempio tutti gli esseri cosiddetti vegetali dispongono di organi-canali ben sviluppati con i quali essi sono consapevolmente tenacemente collegati con la fisiologia dell'intensità. Gli animali, come me, dispongono di canali-organi appena poco più che rudimentali per essere collegati con quella fisiologia. In natura i canali della vegetazione possono diventare facilmente percepibili, direi questione di fortuna personale, non destino, percepirli significa, per qualche motivo fisiologico non ordinario, sviluppare progressivamente i propri rudimentali canali. Percepire con chiarezza la canalizzazione-organicità della natura, il che comprende l'inclusione della fisiologia dell'intensità, comporta molti momenti in cui l'esterno sembra annullarsi, l'interno e l'esterno sembrano fondersi in qualcos'altro, l'interno si annulla nell'esterno. Nella realtà urbana-metropolitana la presenza di canali-organi diversi da quelli della percezione ordinaria è estremamente ridotta, non solo, le città,anche quelle piccole, sono riempite di oggetti umani fisici e mentali che generano una massa di manifestazioni, spiriti, presenze, che sono debolmente fornite di canali-organi non ordinari proprio come lo sono le persone e anche di meno. Il potere, il controllo sociale, inibiscono la percezione non ordinaria, distruggono materialmente quasi del tutto l'esistenza dei canali-organi non ordinari. In ogni caso ho ben presente che il controllo sociale e il potere sono comunque realtà naturali, non è l'ostilità o la frustrazione il mio criterio di azione nei loro riguardi. La società non è ostile nei miei confronti,è l'assenza di amore al suo interno che la rende eventualmente tale. Per quanto mi riguarda quando io parlo di canali-organi non ordinari io parlo di amore non nominandolo. Purtroppo il vivere in ambienti metropolitani a forte controllo sociale ed estrema presenza del potere nelle relazioni interpersonali, mi porta a sbilanciare il mio bisogno di percezione non ordinaria verso una via eccessivamente interna. Sembra che in qualche modo la via interna mi sia congeniale, ma è una via più lunga e dura della via che praticherei in un ambiente naturale, questo lo so.>> <<L'impulso-corpo-intensità non posso scinderlo, non posso considerarlo un insieme, è la mia percezione puntiforme a viverne solo un pezzo per volta. Il mio corpo non dispone di punti anche se è così che lo avverto, il mio corpo si estende molto oltre il mio. Gli impulsi costituiscono il mio corpo-corpi e sono costituiti da impulsi e corpi loro stessi, quasi all'infinito. La mia attivazione volontaria di un impulso comporta sempre anche una mia parziale perdita di coscienza, percezione. Gli (i miei) impulsi seguono il loro inevitabile destino pur costituendo l'unico possibile accesso alla intensità-libertà. La mia percezione puntiforme può concentrarsi sull'impulso-corpo-intensità e immaginandone la continuità e, semplicemente, con l' immaginazione. Qui non c'è spazio per il pensiero. L'immaginazione è contatto, è toccarmi-ti-ci-vi-li. La mia immaginazione non è così volontaria come mi sembra in un primo momento. La mia immaginazione è già nella manifestazione. Attraverso l'immaginazione, senza alcuna regola,innumerevoli persone hanno comunicato e comunicano usando immagini, suoni, movimenti e parole la percezione non puntiforme, non ordinaria dell'impulso-corpo-intensità.>> <<Uniti dal pasto, primi nel cibo, gli alberi abbrracciati nei sorrisi. Respirato della terra-sole, nudo, curvo nei canali trasparenti, risvegliato dalle bocche nutrite, le carni delle radici rivestono i volti-di-fumo, docili serpenti luminosi affollatti nel petto, i polmoni vedono, lontananza nella membrana, grumi sudati di piacere. Il mondo-di-sangue estende ossa, figure a fiori in tese ventose, distaccato dal respiro, una nuova jena unita al cibo, calma, ore di abbracci, la mente e il cuore invase dal tuo nuovo epitelio, festeggiano il ritrovamento dei senza corpo. L'unica vita lui la corre. Così. L'acqua decade l'alba, cuore del parco affollatto di freddo, gambe intrecciate al folle delle sigarette, stare nella valle per ogni orgasmo, condensa urbana invece di sentimento, motori carnali, lunari, felici e maiali come mai prima.>> <<Dall'epitelio non posso raggiungere. Nell'epitelio è la telepatia- tento. L'epitelio-canali-tranquillità dove nenche io sono, perchè non parlo, ma non silenzio o isolamento o vuoto. La telepatia è proprio quel che non vedo. Me la festeggio però. Nemmeno intensità, semplice altro tra gli altri. Nemmeno telepatia.Non rincorro più. Son fuori comunque, anche dalla giostra. Corro e basta con pieghe vertiginose, capo e coll.o.>> <<La liberazione è possibile perchè il cuore assorbe il controllo. La liberazione dal controllo e la progressiva formazione del CUORE-INVISIBILE sono un unico processo.>>